L’industria è tornata a crescere, il 2011 farà segnare un nuovo aumento del Pil, ma i timori sulla disoccupazione restano. In particolare sono i giovani a patirne le conseguenze, come mostrano ogni mese i dati dell’Istat. Le istituzioni sono già all’opera per cercare di migliorare la situazione dell’occupazione e per stimolare maggiormente la crescita dell’economia. E anche il sindacato, come ci spiega Gigi Petteni, segretario lombardo della Cisl, può avere un ruolo importante in questi processi.
Petteni, la produzione industriale è tornata a crescere, ma la disoccupazione giovanile resta forse il problema più urgente da risolvere nel nostro Paese. Perché, secondo lei, si è trasformata in un’emergenza?
Sicuramente c’è stato un aumento della disoccupazione giovanile legato alla crisi. Prima del suo arrivo, infatti, molti giovani erano inseriti nel processo lavorativo attraverso contratti a tempo determinato. In molti casi, come dimostrato dai dati della Lombardia, questi diventavano poi a tempo indeterminato al momento del rinnovo. La crisi ha interrotto questo processo: sono stati pochi coloro che hanno visto rinnovare un contratto in scadenza. Tuttavia, vi erano già, prima della crisi, alcune criticità che influiscono ancora sull’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Di che cosa si tratta?
In particolare, del fatto che le competenze acquisite durante il percorso scolastico si rivelano diverse da quelle richieste dal mercato del lavoro. Penso che questo disallineamento dipenda anche dal fatto che in questi anni la società abbia svalutato l’idea di lavoro nel suo complesso. A ciò si aggiunge una scarsa disponibilità dei giovani a trovare un percorso di mediazione tra il proprio cammino formativo e le opportunità effettivamente esistenti.
Come si può porre rimedio a questa criticità?
Credo che sia necessario puntare sullo strumento dell’apprendistato, magari migliorandolo ancora nelle sue forme di gestione. Ritengo anche che il sindacato possa fare in modo che le imprese possano vederlo come un elemento positivo, magari impegnandosi sul versante formativo, e non solo come un’occasione per avere minori costi contributivi. In generale, la vera sfida è quella di uscire dalla logica degli ammortizzatori sociali, utile nella crisi, e mettersi tutti nella direzione dello sviluppo. Per fare sviluppo servono investimenti, infrastrutture, ricerca e innovazione, ma anche delle relazioni industriali all’altezza.
In che senso?
Le relazioni industriali non si limitano a riguardare il rapporto tra due parti, ma sono un elemento importante di sviluppo economico. Si parla tanto di attrattività degli investimenti, e la qualità delle relazioni industriali è un fattore importante che può favorirla. Basti pensare a un rapporto sindacato-impresa dove il primo non è antagonista, ma fa la propria parte per migliorare la flessibilità, ottenendo in cambio dalla seconda nuovi investimenti.
Restando in tema di sviluppo, mercoledì il Governo ha dato il via al piano per la crescita dell’economia. Cosa ne pensa? Si può fare qualcosa di più?
Per lo sviluppo non c’è una formula magica, bisogna mettere insieme più fattori. Ritengo che servirebbe una grande intesa tra tutti i soggetti legati al mondo del lavoro, per dar vita a un patto per lo sviluppo, fatto non di enunciazioni, ma di interventi mirati rispetto a problemi specifici. Spero che si possa riuscire a farlo sia a livello nazionale che locale.
Quali potrebbero essere degli interventi mirati?
In Lombardia, per esempio, ci sono delle aree dismesse sulle quali sarebbe opportuno (come fatto in un recente accordo su Indesit) costruire dei “pacchetti attrattivi”. Si possono anche individuare dei settori strategici rispetto al territorio (in Lombardia si parla di energie rinnovabili) e decidere di sostenerli. In generale, occorre che ognuno faccia la sua parte per creare un contesto favorevole allo sviluppo. Dentro le fabbriche, sui luoghi di lavoro, come Cisl abbiamo dato disponibilità significative alle imprese che hanno fatto investimenti, offrendogli flessibilità. Ma serve anche un contesto esterno che valorizzi le intese raggiunte tra noi sindacati e le imprese.
I sindacati possono fare qualcos’altro per i giovani?
Nei casi di vertenze aperte, possiamo cercare, laddove abbiamo di fronte aziende che hanno in mente strade di stabilizzazione del lavoro o l’assunzione di un numero significativo di giovani, di costruire anche un percorso sui trattamenti economici. Se c’è la contrattazione aziendale, allora possiamo fare anche processi di questo tipo. Mi sembra uno dei pochi mezzi che abbiamo direttamente a disposizione per modificare la situazione e non limitarci a esporre i dati preoccupanti sulla situazione dei giovani.
Secondo lei, è necessario un patto tra istituzioni, imprese, sindacati per aiutare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro?
Credo che un patto vada principalmente fatto tra imprese e sindacati, che sono i due soggetti che possono svolgere il ruolo più importante. Essi possono poi chiedere alle istituzioni di accompagnarli in questo processo. In Lombardia, per esempio, proporremo un accordo sull’apprendistato per renderlo appetibile e praticabile, chiedendo alle istituzioni di incentivarlo (magari anche fiscalmente) per un certo periodo. Del resto, se con gli ammortizzatori sociali si è aiutato chi aveva già un’occupazione, è giusto anche aiutare chi ancora non riesce a entrare sul mercato del lavoro.
A proposito di ammortizzatori sociali, a gennaio c’è stato un calo della cassa integrazione. Come va interpretato questo dato?
Per fortuna che c’è questo dato, ma bisogna fare attenzione: il calo della cassa integrazione non vuol dire fine della crisi. In Lombardia, per esempio, nell’ultimo trimestre del 2010 ci sono state 20 milioni di ore in più di cassa integrazione ordinaria rispetto a tutto il 2008. C’è quindi ancora molta strada da fare. Inoltre, abbiamo ancora un numero alto di ore di cassa integrazione speciale e in deroga, che per la maggior parte corrispondono a posti di lavoro che non ci saranno più. Questo deve preoccuparci e deve darci la spinta necessaria per creare nuovi posti di lavoro. E per fare questo è importante anche il patto per lo sviluppo.