LAVORO/ Come fare bene un CV in tempo di crisi

- Gianni Zen

In Italia il 10% delle assunzioni avviene dopo un contatto on-line. Ne parla GIANNI ZEN, per il quale è quindi indispensabile conoscere i segreti che rendono il curriculum vitae efficace

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I nostri giovani migliori, oramai abituati a confrontarsi col mondo del lavoro “globale”, già lo sanno, nel senso che l’hanno già sperimentato. Ma i confini del mondo del lavoro italiano, ancora troppo angusti e vincolati a difendere il criterio della “mediocrità” come misura e valore (ai fini del “posto fisso”, non della qualità di un “servizio”), ancora oggi non facilitano la domanda di futuro dei nostri giovani. Uno strumento utile che i giovani hanno a disposizione riguarda la modalità di auto-presentazione del proprio “curriculum vitae”, cioè delle proprie conoscenze, competenze, capacità, passioni, esperienze. Da alcuni anni come modello per la costruzione di questo “curriculum vitae” (cv) viene utilizzato il formato europeo, cioè l’Europass. Avere un modello di riferimento è importante, ma non basta. Nel senso che nessun modello standard può offrire garanzie di risultato. Perché non basta mettere in fila le tappe del proprio percorso scolastico e formativo, comprese le prime esperienze lavorative.

Ci vuole la personalizzazione, anche se non è facile scrivere il cv per se stessi, perché dovrebbe, a chi legge, dare l’idea dell’oggettività, della trasparenza, dell’informazione completa ed efficace. Tutte cose necessarie, ma non sufficienti. Il motivo è evidente: il cv va scritto in relazione al contesto o all’azienda destinataria della propria offerta di lavoro. Il giovane interessato a una proposta di lavoro deve, cioè, non solo dire chi è e le proprie competenze ed esperienze, ma deve far capire se possiede proposte originali o idee innovative da proporre. Un cv dunque dovrebbe rimandare ad altri strumenti di comunicazione, magari un blog tematico (oppure i “social network”). Che faccia intendere, in poche parole, tutto un lavoro di fondo che rende la propria competenza davvero un valore aggiunto per un servizio, per un’azienda, per uno studio professionale, per un contesto di lavoro di gruppo. Perché tre sono le caratteristiche oggi richieste ai giovani: dimostrarsi svegli e interessati alle continue innovazioni, disponibili a lavorare in gruppo, umili e contenti di imparare da tutti.

In Europa, a dar retta a un intervento apparso su The Guardian, il 30% circa delle nuove assunzioni avviene attraverso la rete informatica, nei siti specializzati. In Italia, siamo sul 10%, a parte il nostro vicentino: da un’indagine empirica svolta a fine luglio, è emerso che siamo attorno al 18% di assunzione previo contatto e verifica su internet. Percentuali che cresceranno, se pensiamo che solo il sito Linkedin ha, nel nostro Paese, 1,7 milioni di iscritti. Un grande parterre. Ma da noi il canale per essere assunti resta ancora, per il 25%, il passaparola, cioè la conoscenza personale.

Una percentuale destinata a lasciare il passo ai nuovi metodi di approccio e di verifica, come attesta Almalaurea dell’Università di Bologna. Il cv quindi va personalizzato in relazione al destinatario, deve perciò rivelare il proprio identikit, ma in relazione al contesto. Non contano, per dirla tutta, le competenze e capacità maturate, ma chi le conosce. Conta la motivazione personale, conta la voglia di imparare e di costruisce qualcosa assieme a un gruppo di lavoro. Le conoscenze maturate sono dunque importanti, ma non bastano, né possono bastare le buone intenzioni. Tanto è vero che tra le “competenze chiave di cittadinanza” espresse dal Parlamento europeo la più importante è “imparare ad imparare”. Per tutta la vita. La vera patente contro il rischio della precarietà. Nemmeno il cv europeo (Europass) va perciò preso troppo alla lettera. Nel senso che va modulato secondo la domanda intorno all’efficacia comunicativa e coinvolgente della propria offerta di lavoro.

I giovani in gamba oggi devono dimostrare di “avere fame”: fame di sapere, fame di esperienza, sana curiosità, disponibilità al sacrificio, umiltà nelle prime esperienze di lavoro, convinzione e tenacia, voglia di capire, di ascoltare e di imparare. A un colloquio di lavoro ci si presenterà, dunque, anche con un abbigliamento adeguato, senza però esagerare, ma evitando i pantaloncini, anche se fa caldo. Su una cosa oggi siamo tutti d’accordo: i posti di lavoro non si creano per decreto legge, né sono una manna dal cielo. Né si possono più scaricare sul debito pubblico i cosiddetti “lavoratori socialmente utili”.

I giovani devono farsi convinti che si devono conquistare un posto di lavoro, che se lo devono meritare. Oltre quella prassi, in uso in particolare nella pubblica amministrazione, che ha imposto l’idea del “ruolo” come “posto fisso” a prescindere dal merito, dalla qualità del proprio servizio, dalla disponibilità a farsi carico del “bene comune”. Un posto fisso cioè senza nessuna “etica della responsabilità”. La crisi ci sta dicendo che quest’epoca di assistenzialismo sta finendo. Nel frattempo sta riemergendo la richiesta di una nuova mobilità sociale non più su scala nazionale, ma globale. È la nuova “società aperta”.





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