Un posto al ministero, specialmente in tempi di crisi, è merce preziosa. Ma, per un euro l’ora, e senza la sicurezza di essere assunti, in quanti accetterebbero di farvi uno stage? Al ministero dell’Economia pare che siano alla canna del gas. E’ stato indetto un bando per 34 stagisti, della durata di 4 mesi, prorogabili fino a 6. Ma il compenso lascia veramente a desiderare. Un euro l’ora, appunto. Lordi. Certo, per un giovane che si affaccia per la prima volta sul mondo del lavoro, può anche andare bene. E’ pur sempre una prestigiosa esperienza. Tanto più che uno stagista su due è pagato affatto. Eppure, una norma contenuta nella legge Fornero prevede (anche se a partire dal 2013) che la remunerazione degli stagisti fosse «congrua». IlSussidiario.net ha chiesto lumi ad Arturo Maresca, professore ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza di Roma. «Sul piano formale, il contratto di stage, ovvero il tirocinio formativo e di orientamento, non è un contratto di lavoro, ma finalizzato all’apprendimento. E, non essendo un contratto di lavoro, non deve essere remunerato». Eppure, le aziende, normalmente, lo fanno: «Si sono, infatti, inventate dei contributi spese che, in ogni caso, non possono essere giustificati come stipendio vero e proprio. Tant’è vero che l’azienda, in tal caso, viene definita “ospitante”, e non datore di lavoro». Poi, ovviamente, c’è il piano sostanziale: «Di fatto, i giovani sottoposti a questa forma contrattuale, lavorano. Non solo nelle aziende private, ma anche nelle pubbliche amministrazioni, dove spesso, se non ci fossero gli stagisti, molti servizi non potrebbero essere erogati». Le norma della Fornero si inserisce nell’ambito di un paradosso: «Siccome questi contratti sono diventati, illegalmente, contratti di lavoro, si pone il problema della remunerazione. Tuttavia, la norma della Fornero non è, attualmente, invocabile. Si parla, infatti, di corrispettivo congruo; ma solo in riferimento al momento in cui la legge sarà stata perfezionata. Il principio in essa contenuta dovrà essere recepito da un accordo tra lo Stato, le Regioni, e le parti sociali».
Sta di fatto che la norma snatura il principio dello stage: «Il legislatore riconosce che quell’attività non è finalizzata all’orientamento e all’apprendimento, ma al lavoro. Se, tuttavia, si rispettasse l’impianto originario, così non potrebbe essere». Sia ben chiaro: «Lo stage, di per sé, non esclude il lavoro. Lo stagista non deve certo limitarsi a guardare gli altri che lavorano. Ma la sua attività principale dev’essere finalizzata, come dice il contratto stesso, alla formazione e all’orientamento».
Come, del resto, avveniva anche prima dell’istituzione della disciplina in materia: «Molti, tra cui il sottoscritto, hanno iniziato a lavorare, nelle aziende, con le borse di studio. Nel ’97, il legislatore decise di conferire a questa pratica una veste legale. L’idea era buona, perché non c’è dubbio che un periodo di apprendimento in azienda è utile per un giovane. Il sistema, tuttavia, dovrebbe avere la capacità di consentirgli di restare in quell’ambito».
(Paolo Nessi)