Dopo aver ascoltato l’opinione di Gianni Baratta, Segretario confederale della Cisl, IlSussidiario.net continua il dibattito riguardo l’ipotesi di un piano del governo che, nell’ambito della spending review, prevedrebbe il pensionamento anticipato dei dipendenti pubblici over 60, una platea composta quindi da circa 231 mila lavoratori, vale a dire il 7% del totale nel settore pubblico. Oggi affrontiamo il tema con Giovanni Faverin, Segretario generale della Cisl-Fp.
Segretario, cosa ne pensa di questa ipotesi?
E’ sbagliata sia sul piano del merito che su quello degli effetti in termini di efficienza della Pubblica amministrazione. Sotto il primo profilo il provvedimento è contraddittorio rispetto alle misure adottate con la riforma previdenziale del D.L. 201/2011 in quanto dopo aver differito, anche per il personale pubblico, l’uscita dal mondo del lavoro con l’innalzamento dell’età pensionabile, adesso si vorrebbe favorire l’esodo dei lavoratori pubblici con modalità economicamente penalizzanti. A questo va aggiunto il dato che a uscire dalle amministrazioni sarebbe personale, spesso in posizioni di responsabilità, con esperienza e professionalità acquisite e riconosciute:le ricadute sarebbero negative sul piano operativo e di trasmissione delle conoscenze.
Cosa pensa invece dell’idea di optare per l’80% dello stipendio, ma non dell’intero trattamento economico? Lo ritiene adeguato?
L’ipotesi non solo è inadeguata e offensiva per la dignità dei lavoratori pubblici e delle loro famiglie, ma, in presenza di un blocco della contrattazione collettiva nazionale cui è preclusa un’azione di adeguamento degli stipendi al costo della vita, rischia anche di creare nuove sacche di povertà e di emarginazione economica e sociale.
Il risparmio che si potrà ottenere a suo giudizio giustifica la scelta di mandare in pensione anticipata migliaia di persone?
I veri risparmi sono quelli che si possono conseguire attraverso una seria e decisa lotta agli sprechi (appalti per l’acquisto di beni e servizi, proliferazione di società a partecipazione pubblica la cui costituzione è spesso giustificata da esigenze di gratificazione personale, consulenze e incarichi fiduciari) e ai costi della politica la cui pervasività nei confronti delle amministrazioni ha raggiunto livelli intollerabili. E poi un prepensionamento anticipato di massa finirebbe con l’aumentare la spesa previdenziale in netta controtendenza rispetto alle finalità dell’ultima riforma.
Quali sono i maggiori rischi di una scelta del genere da parte del governo?
Creare una nuova generazione di poveri, senza alcun effetto positivo in termini di efficienza e di produttività nelle pubbliche amministrazioni al cui interno si aprirebbero vuoti di conoscenza e di professionalità non integrabili a breve in considerazione dei reiterati blocchi del turn-over.
La platea coinvolta inoltre è molto ampia ma dopo la riforma previdenziale non tutti gli over 60 sono vicini alla pensione. Cosa ci vuole affinché non si vadano quindi ad aumentare ulteriormente le fila degli “esodati”?
Se il Governo intende affrontare seriamente il nodo della riorganizzazione della Pubblica amministrazione nei suoi diversi livelli e con un’ottica che non sia semplicemente contabile e ragionieristica, ma con un’impostazione di sviluppo e di rilancio deve confrontarsi e interloquire con le organizzazioni sindacali: diversamente il rischio, come dimostra l’esito della riforma pensionistica varata senza alcun confronto con i sindacati, è quello di fare macelleria sociale sulla pelle dei lavoratori e delle loro famiglie.
Dopo le tante polemiche sulla disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, crede che questo possa essere considerato un primo passo verso una parificazione?
Non si parifica il mondo del lavoro privato e quello pubblico alimentando la povertà e l’emarginazione dei lavoratori: la vera parificazione tra dipendenti pubblici e privati si avrà quando la politica avrà liberato il sistema pubblico dal suo abbraccio asfissiante. E’ necessario far sì che gli attori in campo possano negoziare e confrontarsi per una riforma autentica che, restituendo dignità e dando riconoscimento al lavoro pubblico, rilanci l’intera economia nazionale.
Per ora si tratta solamente di un’ipotesi. A cosa si potrebbe pensare come alternativa?
La vera alternativa, sia in termini di risparmi sia in termini di efficienza, è fare una riforma che parta dal confronto con i protagonisti, a partire dal sindacato, del mondo del lavoro pubblico. Mettere in campo proposte serie e non demagogiche, dalla lotta agli sprechi all’adozione di modelli organizzativi di eccellenza, presenti nel variegato panorama delle pubbliche amministrazioni, rappresenta l’unica soluzione in grado di garantire risultati reali e di lungo respiro: diversamente c’è solo spazio per la demagogia e il populismo a buon mercato.
(Claudio Perlini)