Il caso Nestlè-Perugina sta facendo discutere, incuriosire soprattutto nella sua originalità. Che cosa è successo nella famosa industria di cioccolato? Che l’azienda ha proposto ai dipendenti con più di 50 anni di età di tagliare alcune ore di lavoro e darle ai propri figli. In questo modo, secondo il direttore di Industrial Relations della multinazionale, potrebbero entrare in azienda almeno cento figli di dipendenti. Il padre rinuncia al 25% dello stipendio e il figlio ha un salario pari al 75% di quello a tempo pieno. Mezzo stipendio in più che arriva in famiglia. Tutto bene? Non sono d’accordo i sindacati, almeno non è d’accordo la Flai Cgil: invece di produrre ricchezza, dicono, si creano due poveri. Paghi uno e fai lavorare due insomma. Ed è già stato proclamato lo sciopero contro l’iniziativa. Secondo Stefano Faiotti segretario nazionale di Fai Cisl, contattato da IlSussidiario.net, «in un periodo come questo, di crisi e di mancanza di lavoro, abbiamo il dovere di verificare a fondo tutte le proposte, quindi anche una come questa non può essere rigettata in termini di principio ideologico». Per Faiotti, siamo davanti a qualcosa di simile ai contratti di solidarietà e quindi vale la pena verificare la bontà o meno di questa iniziativa.
Faiotto, qual è il suo giudizio sull’iniziativa della Nestlè?
Non entro nel merito della vertenza specifica, perché bisogna conoscerne tutti i particolari. Se i sindacati hanno deciso di proclamare uno sciopero è perché c’è un giudizio complessivo sulla questione che li ha mossi in tal senso.
Il giudizio che muove lo sciopero si può riassumere nell’idea che questa iniziativa crei due poveri invece di uno solo.
Guardi, secondo me in un periodo come questo risorse collegate al lavoro, cioè possibilità di creare occupazione anche limitata, sono iniziative tutte positive. Come atteggiamento generale e quindi anche come Cisl, ritengo che abbiamo il dovere di verificare a fondo tutte le proposte, quindi anche una come questa non può essere rigettata in termini di principio.
Quello della Flai Cgil le sembra un no di pregiudizio?
Non conosco i particolari del loro rifiuto, ma si tratta di capire se una proposta come questa può veramente generare una ripresa di lavoro vero oppure no. Non ci deve essere, e soprattutto oggi, un atteggiamento di rigidità preconcetta.
Questo cosa vuol dire.
Vuol dire che la proposta di per sé non deve essere accettata automaticamente, ma vuol dire che in un periodo come questo tutte le occasioni, le possibilità, le opportunità per trovare percorsi che favoriscano lavoro e occasioni di lavoro vanno verificate a fondo. Vanno verificate nella loro serietà.
Della critica che questa iniziativa sia una specie di “paghi uno e fai lavorare due” cosa ne pensa?
Penso che ci sia effettivamente un problema di equilibrio che nel caso specifico non posso giudicare. Se è una proposta che riesce a offrire lavoro va tenuta in seria considerazione. E’ chiaro che se il risultato finale invece è una precarietà per i primi, cioè i lavoratori che sono già in azienda, e per quelli che arrivano, dunque una prospettiva di precarietà generale, senza il minimo di livello di prospettiva di reddito allora questa proposta non è interessante.
Come si fa a verificare se è una cosa seria?
Ci si siede a un tavolo, si discute, si verifica e si guarda a fondo la serietà della proposta.
Per cui ci vuole un atteggiamento costruttivo, davanti a proposte che nel bene e nel male offrono possibilità di lavoro.
Ritengo sarebbe sbagliato non guardarci dentro. C’è spesso un pregiudizio anzi un atteggiamento ideologico per cui il lavoro buono è solo quello a tempo indeterminato. Non è vero: il lavoro buono è quello che genera prospettiva quindi può essere anche a tempo determinato. Se genera solo precarietà allora no.
Qualcuno però davanti a questa proposta potrebbe parlare di discriminazione: io non ho un padre alla Nestlè per cui non mi assumono.
Questo è un caso dove scatta un meccanismo di solidarietà interna. Piuttosto che la non solidarietà meglio la solidarietà interna In questo caso è così, qualcuno che rinuncia per generare prospettiva futura. Non avrei neanche qui un atteggiamento negativo. E’ un meccanismo di solidarietà che si chiede venga messo in atto come talvolta si fa con la riduzione dell’orario di lavoro, ad esempio con i contratti di solidarietà. Quando scatta questo meccanismo è meglio di quando non scatta.