La recente riforma delle pensioni forse deve buona parte della sua notorietà alla vicenda degli esodati, più ancora che ai risparmi che ha prodotto per le casse pubbliche. Del resto quando un “traguardo” appare vicino e bruscamente si allontana, senza peraltro che vi sia più “benzina” per raggiungerlo, il clamore e le proteste sono un ovvia conseguenza. L’età pensionabile come «crocevia di opposte emergenze» su cui «si scaricano opposte e schizofreniche tensioni legislative, provocate da contrapposte emergenze: l’emergenza finanziaria del sistema previdenziale. L’emergenza occupazionale del sistema produttivo». Così scriveva il professor Antonio Pileggi, ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università di Roma Tor Vergata in un libro del 1997.Professore lei ricorreva alla metafora della zattera previdenziale alla deriva alla quale talora il legislatore lascia aggrappare i naufraghi del mercato del lavoro più prossimi a raggiungerla, ma dalla quale, altre volte, per evitare il naufragio previdenziale, allontana, con le buone o con le cattive, chi già si accingeva a salirvi. Ha qualcosa a che fare con il problema degli esodati?
Direi proprio di sì. I nodi sono venuti al pettine. Già allora segnalavo l’atteggiamento schizofrenico del legislatore. Sul versante del sistema produttivo in questi anni ha favorito in tutti i modi l’accesso anticipato alla pensione, con mobilità lunga, prepensionamenti, agevolazioni fiscali e contributive per gli incentivi all’esodo, privilegiando il criterio di scelta della prossimità alla pensione nelle riduzioni di personale. Il personale “anziano” (gli ultracinquantenni), in genere più costoso, e talora nel “mirino” delle aziende, è stato così accompagnato anticipatamente e forzatamente alla pensione (di anzianità o di vecchiaia), o licenziato, e condannato, presumibilmente, al lavoro nero.
Sul versante del sistema previdenziale, all’opposto, il legislatore ha progressivamente ritardato il tempo del pensionamento, sia incoraggiando i lavoratori a proseguire nel rapporto di lavoro oltre l’età pensionabile, con correlativa estensione delle tutele contro il licenziamento; sia modificando in senso restrittivo i requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità e di vecchiaia.
Con quali effetti?
Guardi, ci troviamo davanti a un legislatore schizofrenico, con una doppia personalità, che sfoga sempre i propri disturbi sul lavoratore anziano (cui deve far pagare l’asserito “egoismo generazionale” degli anni passati), sia che lo condanni a una prematura espulsione dal mercato del lavoro, al pensionamento forzato, al lavoro nero, sia che lo costringa a lavorare quando già pregustava l’agognata pensione. Un legislatore che, oltretutto, non si rende conto e non calcola gli effetti delle proprie scelte: la mano destra non sa ciò che fa la sinistra.
È la riforma delle pensioni “Monti-Fornero” che ha creato il problema degli esodati?
Certo, il governo tecnico, dovendo esibire ai mercati “sacrifici” immediati e “salvare l’Italia”, con l’omonima manovra approvata con il decreto legge che incorpora la riforma delle pensioni (art. 24, d.l. n. 201/2011), ha caricato a testa bassa e con il paraocchi, senza rendersi conto della dimensione biblica del fenomeno degli esodati.
In che modo?
Con la riforma della pensioni è stata soppressa la pensione di anzianità consentendosi in via transitoria il pensionamento sulla base delle vecchie regole soltanto a chi avesse già maturato determinati requisiti entro una certa data, senza più finestre scalini, scaloni. È stata poi introdotta la “pensione anticipata” legata, però, a requisiti ben più restrittivi, ed è stata anche elevata l’età pensionabile (l’età di accesso alla pensione di vecchiaia) al 66° anno di età, con ulteriori aumenti legati alla “speranza di vita” (ciò anche per le donne, ma dal gennaio del 2018). La riforma ha anche incentivato la prosecuzione opzionale del rapporto oltre l’età pensionabile, estendendo la tutela contro i licenziamenti di cui all’art. 18 fino al 70° anno di età.
D’accordo, ma chi sono gli “esodati” e perché il problema è stato creato dalla riforma delle pensioni?
Gli esodati sono perlopiù coloro che, proprio perché prossimi a maturare i requisiti per la pensione di anzianità, dopo un periodo coperto da ammortizzatori sociali (di fonte legale o convenzionale), hanno accettato (o dovuto accettare) la cessazione prematura del rapporto di lavoro, o sono stati addirittura licenziati, generalmente nell’ambito di procedure di riduzione del personale di aziende in crisi (ma non sempre), e che, per effetto della brutale e improvvisa soppressione della pensione di anzianità, cessato il periodo coperto da ammortizzatori sociali rimarranno senza lavoro e senza pensione. Per riprendere la metafora, gli esodati sono i naufraghi “anziani” del sistema produttivo che sono stati buttati giù da barconi affollati perché più o meno prossimi a raggiungere la zattera previdenziale. Dopo il tuffo in ordine sparso il legislatore, imbarcato qualcuno, ha fatto sparire la zattera, e i naufraghi annaspano in mare aperto esausti e senza salvagente. I tecnici al governo, richiamati dalle urla, devono ora soccorrerli (“salvaguardarli”), ma non sanno nemmeno bene quanti sono, non hanno abbastanza scialuppe per andarli a recuperare tutti e vorrebbero rispedirli sui barconi.
Ma l’ipotesi degli esodati non è stata proprio presa in considerazione dal governo?
Non siamo a questo punto. Il Governo ha previsto alcune ipotesi di pensionamento in base alle vecchie regole, ad esempio, per i lavoratori collocati in mobilità in base ad accordi sindacali che avessero maturano i requisiti per la pensione entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità, ovvero, con riferimento ai lavoratori (ad esempio, del settore bancario) che godessero di sostegno al reddito a carico dei fondi di solidarietà o per i quali fosse stato previsto l’accesso alle prestazioni dei suddetti fondi con accordo sindacale. Ma, forse per la fretta forsennata, il governo tecnico non ha immaginato tutti i casi nei quali un lavoratore potesse aver perso il lavoro sul presupposto essenziale dell’accesso a un trattamento pensionistico. Ha inoltre previsto per i “beneficiari” della deroga all’applicazione immediata della riforma, un limite massimo numerico dei soggetti interessati nel limite delle risorse predeterminate. Ha insomma previsto con un certo cinismo che qualcuno potesse rimanere in mare aperto e se la dovesse cavare da solo. Ha in ogni caso colpevolmente ignorato la dimensione biblica dell’esodo, come detto.
La Fornero ha detto «gli esodati li creano le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività».
Sì, ma un governo tecnico dovrebbe avere piena consapevolezza, quanto meno “tecnica”, degli effetti e delle ricadute di una riforma così drastica e importante e del numero delle persone coinvolte. Altrimenti a cosa serve? E non può rifugiarsi a ogni piè sospinto dietro l’alibi della salvezza dell’Italia, e della catastrofe evitata, esigendo gratitudine per l’espletamento di una sorta di funzione sacerdotale. E poi il governo tecnico, per i ministri che ne fanno parte, e la loro storia imprenditoriale, non ha credibilità e autorevolezza quando eleva drasticamente l’età pensionabile e si scaglia contro “le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività”.
Mancanza di credibilità nell’elevare l’età pensionabile e combattere la precarietà? Perché mai?
Il ministro dello sviluppo economico del governo tecnico è il detentore del primato nazionale nella produzione di esodati (anche se si tratta di esodati “salvaguardati” dalla riforma, in quanto aventi diritto alle prestazioni dei fondi di solidarietà di settore) ed è l’emblema vivente di quegli imprenditori “che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività”. Negli anni dal 2002 al 2011 il più importante gruppo bancario nazionale, del quale il Ministro è stato amministratore delegato, ha attuato una sistematica politica di “svecchiamento degli organici”, licenziando, o inducendo all’esodo, quale unica alternativa al licenziamento, diverse migliaia di “anziani” (dai cinquant’anni in su!), assumendo, contemporaneamente, migliaia di lavoratori precari e a basso costo, con contratti a termine e di apprendistato, con notevoli risparmi contributivi.
Lo svecchiamento degli organici (già sperimentato dallo stesso futuro Ministro quale amministratore delegato di Poste italiane) non è stato motivato da ragioni di crisi, ma di incremento dei profitti (negli anni in questione sono state infatti riconosciute ai vertici aziendali favolose stock option), e non è stato affatto indolore (su base, cioè, esclusivamente volontaria), essendo state previste ben tre procedure di licenziamento collettivo, ed essendo stati intimati numerosi licenziamenti degli anziani che non avessero accettato l’esodo “volontario”.
Di quanti esodati parliamo?
Stando bassi, quel gruppo bancario ha creato almeno ventimila esodati o pensionati di anzianità, “posti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività”, per dirle con le parole del ministro Fornero, che, qualcosa avrebbe dovuto orecchiare da vice presidente del Consiglio di Sorveglianza di quel gruppo Bancario specializzato in esodi. E poi, come dicevo, quegli esodati dovrebbero essere stati salvaguardati dalla riforma, rientrando tra coloro i quali hanno accesso alle prestazioin erogate dal fondo di solidarietà delle aziende creditizie, cosicché il caso mediatico non è esploso.
Dunque il governo legifera bene, ma alcuni suoi esponenti, da imprenditori e banchieri, hanno razzolato male?
Si. Mi domando sulla base di quali credenziali sia stato scelto l’attuale Ministro dello Sviluppo Economico e con quale credibilità sieda in un Governo che ha imposto dolorosi sacrifici ai lavoratori prossimi alla pensione, con draconiane misure di posticipo del pensionamento, esponendo a rischio d’indigenza migliaia di famiglie di esodati, e che si vanta di avere introdotto misure contro la precarietà del lavoro, quando, da imprenditore, ha fatto esattamente l’opposto, svecchiando sistematicamente gli organici per mere ragioni di profitto e assumendo contemporaneamente apprendisti e precari a basso costo.