Il boccone l’hanno mandato giù. Ma non c’è stato niente da fare, gli è rimasto di traverso. Il Pdl, così come l’Udc e il Pd, la riforma del lavoro l’ha votata per spirito di responsabilità. O perché non c’era altro da fare. In entrambi i casi, gli effetti di un’azione contraria a un voto positivo avrebbero determinato la caduta del governo. Un’ipotesi, allora, da scongiurare a ogni costo. Ora, rabbonita l’Europa rispetto alla capacità dell’Italia di varare le riforme, e considerati i risultati pratici che il provvedimento produrrà sul mercato occupazionale, il Pdl ha capito che mantenere la situazione inalterata comporrebbe molti più svantaggi che altro. Così, l’ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi, il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri, il vicecapogruppo Gaetano Quagliarello e il capogruppo in commissione Lavoro Maurizio Castro, hanno proposto un radicale intervento migliorativo sulla riforma Fornero. Depositando un ddl in cui chiedono, in sostanza, il ripristino della Legge Biagi e il rafforzamento dell’articolo 8 della legge 148 del 2011, relativa al decentramento della contrattazione aziendale in deroga ai contratti nazionali. Ma attenzione: quanto richiesto attraverso il ddl non rappresenta le effettive intenzioni dei firmatari. Ovvero, nessuno ha intenzione di abolire la riforma del lavoro. Maurizio Castro spiega a ilSussidiario.net la ratio dell’iniziativa. «Il disegno di legge che abbiamo presentato rappresenta un atto di testimonianza politica; per ribadire, anzitutto, che restiamo “biagiani” ortodossi. Ma, dal punto di vista del concreto cambiamento legislativo, non c’è alcuna volontà eversiva». Ecco perché non si tratta di una ritrattazione: «Abbiamo votato in modo molto convinto la legge Fornero. Essa, tuttavia, prevede esplicitamente un monitoraggio attivo e dinamico degli impatti occupazionali della nuova disciplina». Tale monitoraggio ha già dato dei frutti. «Con la conversione del decreto legge sullo sviluppo, sono state portate alcune modifiche all’impianto della riforma. Si è intervenuti, ad esempio, sugli ammortizzatori sociali e sulle partite Iva. Apprezziamo, quindi, il tentativo di adeguare la legge all’attuale congiuntura; dal canto nostro, sempre nell’ottica di questo monitoraggio attivo, abbiamo depositato alcune proposte utilizzabili, nei prossimi mesi, per modificare la normativa». In particolare, il Pdl sottolinea tre linee di intervento: «Occorre modificare la disciplina sull’orario di lavoro, portando il tetto degli straordinari da 250 a 300 ore annue e consentendo di superare le 48 ore medie settimanali in caso di eccezionali congiunture produttive. Il che consentirebbe di aumentare la produttività, aumentando l’incidenza degli impianti e abbassando i costi di struttura. E’ necessario, inoltre, espandere l’articolo 8, valorizzando l’autonomia delle parti contrattuali affinché possano disegnare specifici modelli organizzativi adatti al rilancio competitivo; infine, crediamo che il riavvicinamento al modello originario della Legge Biagi determinerebbe un regime più liberale, in grado di equilibrare gli scompensi occupazionali, ad esempio, implementando l’utilizzo dei voucher in agricoltura, uno dei modi migliori per far emergere il lavoro nero».
Di recente, Sel, l’Idv, la Fiom e la sinistra estrema hanno depositato un referendum per chiedere l’abrogazione dell’articolo 18. Il rischio è che l’operazione del Pdl sia considerata analoga. «C’è una differenza fondamentale – conclude Castro -. Noi abbiamo presentato un disegno di legge che intende orientare il dibattito e le decisioni del governo in maniera costruttiva. L’atto della sinistra ha un intento puramente demolitorio».
(Paolo Nessi)