Nel nuovo scenario globale, è ormai largamente diffusa, tra i governi dei principali paesi Ocse, la convinzione che l’apprendimento durante tutto l’arco della vita è sempre più un requisito essenziale per poter accedere e integrarsi nel mercato del lavoro, così come il costante aggiornamento delle competenze, è diventato un elemento chiave nella lotta contro la disoccupazione e la possibile esclusione sociale.
In merito alla rilevanza di queste questioni, negli ultimi giorni tre dati hanno messo in evidenza la necessità e l’urgenza di un intervento decisivo sulle tematiche dell’istruzione, dell’alternanza scuola-università-lavoro e dell’apprendimento permanente, ispirato al nuovo paradigma della lifewide learning. Un paradigma che si propone di sostenere, favorire e valorizzare, l’acquisizione di competenze formali, non formali e informali, in luoghi e ambiti differenziati e in differenti fasi della vita, andando oltre l’orizzonte della lifelong learning, così come già accade in diversi paesi europei come Regno Unito, Francia, Germania e Spagna. Si tratta di elementi che dovrebbero essere al centro dell’agenda politica del futuro Governo italiano nel campo dell’education e dovrebbero orientare le politiche “attive” del lavoro, allo scopo di incrementare il tasso di occupabilità dei nostri giovani e ampliare la qualità delle competenze possedute dai lavoratori che sono impiegati nelle nostre imprese.
Nel delineare tale scenario, in primo luogo, è necessario richiamare la previsione allarmante dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sull’andamento dell’economia mondiale e sul suo impatto negativo sulla disoccupazione. Nel suo ultimo rapporto, l’Ilo afferma che il numero di disoccupati nel mondo continua a salire e dovrebbe superare quota 200 milioni nel 2013, per sfondare il muro dei 210 milioni nei prossimi cinque anni. Un trend preoccupante, riconducibile al paradigma dello jobless growth che interessa anche i paesi di nuova industrializzazione ed evidenzia una tendenza secondo la quale non sempre sviluppo e crescita sono caratterizzati da un aumento dell’occupazione. Le stesse previsioni del Fmi e della Bce non brillano certamente per ottimismo sul piano del rilancio dell’occupazione.
In secondo luogo, i dati Istat in cui si nota che la partecipazione annuale alle attività formative per i lavoratori adulti (le classe di età 25-64 anni) in Italia è di circa 2.000.000 persone, pari al 6,2% della popolazione di riferimento. Un dato che “inchioda” l’Italia al 17° posto nella graduatoria dei 27 Paesi dell’Unione europea, lontano dal traguardo indicato nella Strategia di Lisbona che fissava l’obiettivo da raggiungere nel 2010 ad almeno il 12,5% e al 15% in base al programma europeo Education and Training 2020.
In terzo luogo, invece, il dato positivo della ratifica da parte del Consiglio dei Ministri dell’Accordo raggiunto nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni sul complesso iter di attuazione della delega della Riforma del mercato del lavoro, in materia di apprendimento permanente. In quest’ambito, sono state assunte finalmente una serie di decisioni in merito ad alcune questioni chiave attese da diversi anni, relativamente a: lo schema di decreto legislativo riguardante il sistema nazionale di certificazione delle competenze; l’intesa per la costruzione di Centri/Reti territoriali per l’apprendimento permanente, di cui faranno parte scuole, università, centri territoriali per l’istruzione degli adulti, Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, imprese e loro associazioni imprenditoriali; l’accordo per la definizione del sistema nazionale in materia di orientamento permanente.
La prospettiva di rendere operativi questi obiettivi ambiziosi rappresenta una sfida e un’opportunità non indifferente per il rilancio del ruolo della concertazione di politiche attive promosse dalle istituzioni locali e regionali, sulla base dell’apporto delle Parti sociali (associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori), ma soprattutto in forza del contributo innovativo e originale che dovrebbero fornire in questa direzione il sistema d’istruzione (dalla scuola all’università) e quello della formazione professionale e manageriale. In questa prospettiva, il nuovo scenario che si delinea, tende a riscrivere le stesse priorità per quanti operano nel campo dei fondi interprofessionali per la formazione permanente, in quanto soggetti che, in primis, dovrebbero accettare la sfida e rendere operativa l’innovazione attesa.
Infatti, il costante processo di innovazione produttiva, tecnologica e organizzativa del sistema economico e sociale richiede alla scuola e all’università e, a maggior ragione, al composito mondo della formazione, il superamento del tradizionale assetto burocratico e autoreferenziale, centrato sull’offerta, e l’avvio di un’evoluzione strategica e organizzativa finalizzata a fornire un’adeguata risposta alla domanda proveniente dalle imprese e dalle istituzioni regionali e territoriali.
Questa prospettiva evolutiva, in particolare per l’Italia, acquista un maggiore peso e diventa davvero un obiettivo strategico irrinunciabile da perseguire a tutti i costi, poiché nell’attuale situazione di crisi economica le dinamiche del mercato del lavoro sono contraddistinte da un quadro a tinte fosche. Un quadro dove la vera emergenza sociale è rappresentata da quattro diversi fenomeni che rappresentano, in modo evidente, il “malessere” del nostro sistema economico ed educativo:
1 – il tasso di disoccupazione generale che tende ad aumentare e ha già raggiunto l’11,1%, con un numero complessivo di disoccupati vicino alla soglia critica dei 3 milioni (2.870.000);
2 – l’elevato tasso di disoccupazione giovanile ormai al 37.1%, e quello di inattività alla soglia critica del 38% (ancora peggiore il dato del Sud);
3 – la preoccupante dispersione scolastica che interessa il 19.7% degli studenti, pari a 120.000 giovani che ogni anno abbandonano la scuola, mentre il dato medio europeo è al 15% e la Strategia comunitaria “Europa 2020” vorrebbe ricondurlo al 10%;
4 – l’alto numero di giovani che non studiano e non lavorano, che arriva a oltre i 2,2 milioni e rappresenta la percentuale più elevata a livello europeo.
Nell’ambito di tali criticità, la dispersione scolastica costituisce un fenomeno economico e sociale complesso, non solo una “questione educativa”, con caratteristiche molto differenziate per scuola (tasso più elevato negli Istituti professionali e tecnici), ceti sociali (coinvolge famiglie meno abbienti) e per zone geografiche (interessa Sud e Nord-Est).
Di fronte a questa situazione potenzialmente esplosiva, è necessario che il futuro Governo, i Ministri dell’Istruzione e del Lavoro, così come gli Assessori regionali, per le loro rispettive competenze, intraprendano un percorso che permetta di sperimentare politiche integrate “attivanti”, che puntino a coinvolgere responsabilmente le istituzioni educative, il sistema economico e sociale, gli stessi giovani e le famiglie, al fine di perseguire i seguenti obiettivi:
1 – ripensamento o meglio un “riposizionamento strategico” della politica industriale del nostro Paese, che per poter competere adeguatamente nel mercato globale dovrebbe orientarsi a un segmento medio-alto e basarsi sulla ricerca, l’innovazione e la qualità del prodotto, l’esaltazione del made in Italy. La concorrenza con i paesi di nuova industrializzazione sui costi è persa in partenza, visto il ruolo che cominciano ad assumere il Vietnam e la Cambogia, al posto della Cina, come “fabbrica del mondo”;
2 – maggiore dialogo tra scuole e università, mediante la valorizzazione del principio dell’autonomia, e un migliore raccordo, in funzione dell’elaborazione dell’offerta formativa, con le istituzioni regionali e territoriali, il mondo delle attività produttive, delle professioni e del terzo settore;
3 – rielaborazione dell’attività dei fondi interprofessionali per la formazione continua, in una logica progettuale, in merito agli obiettivi, le metodologie e ai sistemi di valutazione dei processi d’insegnamento/apprendimento adottati e ai risultati conseguiti, nonché al loro grado di effettiva trasferibilità nell’attività organizzativa e produttiva delle imprese italiane;
4 – una politica di orientamento allo studio e al lavoro che permetta un coinvolgimento consapevole e responsabile degli studenti e delle famiglie;
5 – obbligo di praticare stage e tirocini lavorativi nell’ambito di tutti i percorsi scolastici e universitari, sviluppo di un ruolo più attivo delle università nell’attività di matching tra domanda e offerta di lavoro;
6 – sviluppo delle potenzialità del nuovo apprendistato, che disciplina il contratto per la qualifica professionale, quello professionalizzante e quello per l’alta formazione e la ricerca;
7 – maggiore diffusione delle esperienze di trasferimento tecnologico tra università e imprese e di progetti di start up ed estensione di progetti formativi tendenti al rafforzamento delle competenze di autoimprenditorialità e il sostegno alla promozione di imprese innovative create da giovani laureati.
In questa nuova prospettiva, è assolutamente necessario delineare un disegno organico a sostegno di una nuova politica industriale, una politica attiva del lavoro e un progetto educativo e formativo basato sull’innovazione delle metodologie e dei contenuti della didattica. Elementi che assumono una funzione strategica fondamentale, poiché ampliando e rendendo più mirate le competenze dei lavoratori dovrebbe aumentare lo stesso grado di occupabilità e la relativa capacità competitiva del sistema produttivo sul piano globale. Allo stesso modo, attraverso un programma intensivo di alternanza scuola-università-lavoro, si potrebbe permettere ai giovani di conoscere il mondo del lavoro e all’impresa di poter orientare la programmazione dell’offerta formativa del sistema scolastico e di quello universitario, in modo tale da renderlo più in linea con l’effettiva domanda di lavoro.
In definitiva, in questa visione strategica il sistema dell’education e della formazione potrebbe contribuire alla creazione delle competenze necessarie e alla diffusione dell’innovazione e del capitale sociale necessari per il rilancio di uno sviluppo economico, sociale e civile, sostenibile, equo e duraturo, anche sul piano dell’ampliamento dell’occupazione.