Niente conciliazione per tutti quei lavoratori licenziati per aver superato il cosiddetto periodo di comporto, vale a dire il periodo massimo di malattia. A stabilirlo è il Tribunale di Milano, secondo cui un licenziamento di questo tipo “non si ritiene ricompreso nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo”. Il datore di lavoro, motivando il licenziamento, dovrà quindi indicare il numero totale di assenze, altrimenti il lavoratore potrà ricevere il risarcimento. Come sottolinea però Il Sole 24 Ore, quanto stabilito dal Tribunale richiama “l’inesistenza (salvo specifica previsione del contratto collettivo) di un obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto e l’inclusione, nel computo del comporto, dei giorni di riposo (sabato e domenica) e delle festività che cadono durante la malattia”. I giudici hanno inoltre stabilito che il datore di lavoro non è obbligato a elencare tutti i singoli giorni di assenza per malattia, “trattandosi di eventi di cui il lavoratore ha conoscenza diretta”, ma, secondo quanto riporta ancora il quotidiano economico, dovrà limitarsi a indicare il numero totale di assenze in un determinato periodo lavorativo. Eppure, viene sottolineato, un licenziamento che si basa solamente sul superamento del periodo di comporto (ma senza alcun riferimento ai giorni o alla durata delle assenze) è da considerarsi privo “di specifica motivazione”. Il motivo è chiaro: in questo modo il lavoratore non viene adeguatamente informato sulla effettiva sussistenza di un giustificato motivo di recesso. Insomma, il licenziamento rimarrebbe, ma il datore di lavoro dovrebbe “rimborsare” la genericità della motivazione.