SPILLO/ Se il posto fisso diventa una “sfortuna” per i lavoratori

- Simone Moretti

Secondo SIMONE MORETTI, l’assunzione a tempo indeterminato favorisce, spesso, dinamiche tali per cui chi ha raggiunto l’agognato posto fisso non sarà preparato alle sfide del futuro

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In Italia i giovani non trovano lavoro. Affermazione decisa, tanto veritiera quanto inflazionata, ancor più in queste settimane infiammate dal dibattito sul “Pacchetto Lavoro” approvato dal Governo Letta. Dopo la carrellata di governi e di tentativi mal riusciti di riformare il mercato del lavoro, mesi  di inutili proclami al grido di “salviamo i giovani” e “arginiamo la fuga dei cervelli”, è arrivata la ciliegina sulla torta di un provvedimento che mira a stabilizzare le “vittime del precariato” a condizione che queste non abbiano sprecato parte della loro vita studiando (uno dei requisiti, alternativi tra di loro, previsti dal provvedimento sugli incentivi alle assunzioni è di non possedere un diploma di scuola superiore o professionale, tanto meno una laurea). Facile immaginare lo stato d’animo di chi ha profuso nella propria formazione anni di energie, risorse, soldi, ma risparmiamoci le omelie su questo tema, inutili pure quelle.

La provocazione è un’altra e parte dall’osservazione che in Italia non solo è difficile trovare lavoro, ma è altrettanto complicato cambiarlo. C’è da chiedersi se in questo contesto i “fortunati” titolari di regolare contratto a tempo indeterminato si stiano preparando alle sfide che in futuro si troveranno inevitabilmente a fronteggiare, in un contesto economico ancora più articolato e con un mercato del lavoro sempre più competitivo. Così capita di osservare giovani coetanei trentenni che considerano il posto fisso come il punto di arrivo, sopra cui sedersi.

Non sto parlando di scansafatiche che approfittano dell’impossibilità del licenziamento per impegnarsi meno nelle loro attività, ma di quella latente pigrizia mentale, di quella mancanza di spirito d’iniziativa e di creatività professionale che troppo spesso accompagna il raggiungimento dell’agognato posto fisso. Indole e comportamento spesso favoriti, non senza colpe, da un contesto professionale che induce a specializzarsi e focalizzarsi su precise competenze e attività, a eccellere su singoli aspetti ritenuti dall’azienda quelli più “idonei”, senza la volontà di considerare le persone per quello che potrebbero fare, ma solo per quello che già sanno fare. Una sorta di catena di montaggio alla Charlie Chaplin, rivisitata in chiave moderna.

Il risultato di questo circolo vizioso è che, una volta raggiunto il posto fisso, spesso si ha la tendenza a smorzare il desiderio di ambizione, apprendimento e cambiamento, concentrandosi su una ristretta cerchia di abilità e conoscenze (aspetto spesso non disdegnato da aziende forse troppo orientate al breve periodo).

Ciò che si viene a creare è una schiera di menti con un potenziale incredibile, ma spesso prive di ambizioni, di curiosità e di desiderio di apprendimento, capaci di eccellere su singole attività e competenze, proiettate a svolgere grosso modo gli stessi compiti per l’intera vita professionale. Se qualcuno prova a rialzare la testa e cercare il cambiamento, difficilmente lo trova all’interno della stessa azienda (in Italia il concetto di job rotation è cosa per pochi intimi) e dall’esterno, come si è detto, raramente qualcuno è valutato per ciò che potrebbe saper fare, ma solo per quello che già sa fare.

Quanto può essere pericolosa questa impostazione in un periodo di crisi economica dovrebbe essere evidente e dimostrato dalla tragedia che osserviamo ogni giorno, con aziende che chiudono lasciando a casa non solo giovani, più o meno precari, ma anche cinquantenni e sessantenni, cresciuti e invecchiati con la stabilità e la certezza del posto fisso, abituati da una vita a fare lo stesso tipo di lavoro, impiegando e sviluppando sempre le stesse competenze e che si trovano senza armi a disposizione, privi della flessibilità mentale necessaria e della capacità e possibilità stessa di riqualificarsi e ricollocarsi.

Per le dinamiche che si stanno sviluppando in un contesto globale è probabile che negli anni a venire il mito del posto fisso seguirà sempre più la via del tramonto e sarà necessario dimostrare di avere capacità di adattamento a situazioni differenti. Chi avrà sviluppato più aspetti della propria professionalità, più competenze, magari in contesti differenti, potrebbe trovarsi con una marcia in più.

I “fortunati del posto fisso” oggi indubbiamente possono ancora godere di aspetti quali la possibilità di progettare il futuro con più serenità o di avere un accesso più agevole al credito, per esempio, ma è doveroso chiedersi se si stiano preparando in modo coerente per continuare a essere i “fortunati” del futuro. Sono pronti a mantenere una mente critica, aperta all’apprendimento, stimolata dalla curiosità e dalla voglia di crescere, affrontare nuove sfide, sviluppare più competenze e uscire dalla “zona di comfort”, ossia da quelle attività su cui spesso tendiamo a concentrarci perché sono quelle su cui ci sentiamo più sicuri e preparati? E le aziende cosa stanno facendo per preparare i propri collaboratori ad affrontare le nuove sfide in un mercato globale?

Chi oggi ha la sfortuna di vivere il precariato, ma riesce a stare a galla, deve certamente fare i conti con l’impossibilità di programmarsi un futuro certo e di avere un’entrata sicura su cui basare le proprie scelte di vita, ma probabilmente sta maturando esperienze e conoscenze in campi differenti, in realtà diverse, è costretto a reinventarsi e probabilmente deve continuamente lavorare su aspetti e competenze che non rientrano strettamente nei propri punti di forza.

Questo oggi costa sacrificio, richiede dedizione e spesso comporta periodi difficili e complicati da superare, ma probabilmente permetterà a queste persone di essere più preparate ad affrontare e sfruttare a proprio vantaggio un mercato del lavoro diverso da oggi, che non potrà più continuare per molto a essere così ingessato e con una diseguaglianza così marcata nei meccanismi di tutela per i lavoratori. Sempre che i governi presenti e futuri vogliano davvero fare qualcosa di concreto, preparandosi a cogliere opportunità che potrebbero presentarsi in futuro, quando la crisi economica allenterà la morsa.

Rimaniamo quindi in attesa di una seria e moderna riforma del mercato del lavoro, che lo renda realmente dinamico, che porti a un’equilibrata flessibilità in entrata e in uscita, supportata da un’intelligente sistema di ammortizzatori sociali che puntino meno sull’assistenzialismo e più sulla riqualificazione e sul reinserimento professionale.

In attesa di tutto questo, una provocatoria riflessione porta a chiedersi se i fortunati del posto fisso e gli sfortunati del precariato di oggi non siano destinati, in futuro, a scambiarsi le rispettive posizioni di “vantaggio”.





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