Una nuova stagione di riforme del lavoro è alle porte. Il Decreto legge 34/2014, con cui il Governo ha dichiarato di voler perseguire l’obiettivo di favorire nuova occupazione, ha l’innegabile pregio di aver inserito il contratto di somministrazione, attribuendogli in tal modo il giusto valore di unico contratto “flexicuro” presente nell’ordinamento. Tuttavia, questo Decreto non rappresenta che il primo tassello di un impianto riformatore ben più articolato che, auspicabilmente, darà luogo a una disciplina organica e autonoma anche per il contratto di somministrazione.
Occorre, infatti, a nostro avviso, superare l’approccio parcellizzante degli ultimi interventi normativi, caratterizzati da una certa mancanza di visione complessiva da parte del Legislatore, sia per ciò che concerne la natura giuridica e fattuale della somministrazione – istituto diverso dal contratto a termine! – che per quanto riguarda il prezioso ruolo svolto dalle Agenzie per il lavoro e spesso ricordato anche da queste pagine.
Ecco perchè il Disegno di legge di conversione del Decreto, ora in via di approfondimento in Parlamento, costituisce una preziosa opportunità affinché la somministrazione di lavoro trovi una “casa normativa” propria, in cui venga riconosciuto il contributo decisivo che questo contratto, erogato attraverso le Agenzie per il lavoro, permette di dare ad aziende e lavoratori. Le Agenzie infatti – è bene ricordarlo – offrono alle aziende la flessibilità di cui hanno bisogno senza ridurre le garanzie dei lavoratori. E questo avviene perché il “datore di lavoro-agenzia” ha tutto l’interesse a prendere in carico il candidato, a moltiplicare le sue occasioni di lavoro e a dotare le persone delle competenze necessarie per consentire loro di progredire durante la vita lavorativa e trovare sempre nuove opportunità professionali.
La dinamica descritta – come si evince dai fatti – è quindi estremamente diversa da quella intrapresa dal lavoratore assunto a termine direttamente dall’azienda utilizzatrice. Infatti, nel caso del contratto a termine, il lavoratore non potrà ottenere gratuitamente una valutazione delle proprie competenze professionali, rapportandole alle prospettive occupazionali del territorio, né potrà avvalersi di percorsi di formazione e riqualificazione o essere costantemente contattato per ulteriori occasioni lavorative che si venissero a creare nel territorio di riferimento.
L’esigenza di valorizzare la somministrazione in modo diverso dalle altre forme di flessibilità è affermata, infine, anche dalla vigente normativa comunitaria che la distingue chiaramente dal contratto di lavoro a termine, disciplinando i due istituti con due differenti Direttive che esprimono, appunto, finalità distinte.
La direttiva 1999/70/CE pone al Legislatore nazionale specifici limiti all’utilizzo del contratto a tempo determinato “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti” e, a questo scopo, consiglia di introdurre un quadro normativo specifico, inserendo una o più misure quali l’indicazione di ragioni obiettive per giustificare il rinnovo dei suddetti contratti, la durata massima totale dei contratti a termine e, da ultimo, il numero massimo dei rinnovi.
La seconda normativa (2008/104/CE), al contrario, promuove il lavoro in somministrazione imponendo agli Stati membri il riesame delle eventuali restrizioni o divieti imposti al lavoro tramite Agenzia indicando di tenere in vita solo quelli che hanno ragion d’essere nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Tant’è vero che, da parecchio tempo, l’ordinamento europeo riconosce il ruolo fondamentale del lavoro “tramite Agenzia interinale” proprio nel dare corpo al concetto di flexicurity, fissato quale pilastro dello sviluppo nella Strategia di Lisbona del 2000.
Il nostro Paese sarà finalmente capace di valorizzare la somministrazione come strumento fondamentale per la gestione delle esigenze di flessibilità degli organici legati all’andamento del mercato, anziché affidarla impropriamente a strumenti contrattuali pensati per altre finalità?