Il Jobs Act non ha ancora nessun provvedimento attuativo entrato in vigore, ma sta già producendo effetti. Il contratto a tutele crescenti, che entrerà in funzione solo nella seconda metà di febbraio, ha spinto molte imprese ad avviare le assunzioni dopo l’inizio dell’anno con contratti temporanei in attesa delle nuove norme. Da qui la conferma che il superamento delle forme dualistiche indotte dall’applicazione dell’articolo 18 non era per fare licenziamenti, ma per avviare al lavoro in forme diverse.
Gli effetti positivi di questa iniziativa si vedranno con i saldi del tasso di occupazione a fine 2015. Se, come previsto, il Pil tornerà a crescere, anche il tasso di occupazione tornerà a salire e avremo un’occupazione di maggiore qualità e stabilità. L’introduzione del contratto a tutele crescenti sta però aprendo anche nuovi fronti di discussione sulle altre forme contrattuali. Semplificando il ragionamento, tutte le forme di lavoro subordinato con contratti a termine, che cercavano in questo modo di avere più flessibilità a costi minori, chiedono un intervento finalizzato a semplificare e superare quei contratti che, apparentemente di lavoro autonomo, nascondevano in realtà una posizione di lavoro subordinato.
Mettere in chiaro quindi i limiti alle Partite Iva monocommittente, ai co.co.pro., ai contratti in partecipazione specificando quando sono effettivi contratti di lavoro autonomo o subordinato è necessario anche per estendere a questi lavoratori nuove tutele (malattia, maternità, disoccupazione) come per gli altri contratti di lavoro subordinato.
L’unica attenzione da prestare è che in alcuni settori economici (vedi commercio, turismo, ristorazione) la flessibilità del lavoro non è data dalla forma contrattuale, ma è propria delle attività specifiche. In questi settori i contratti a termine, il part-time o il lavoro a chiamata in realtà servono a combattere precarietà e lavoro nero. Non prevedere queste forme contrattuali, legandole alla contrattazione aziendale e territoriale, sarebbe una posizione ideologica che riproporrebbe un mercato duale nelle tutele dei lavoratori.
Un altro settore in cui le nuove norme hanno aperto la necessità di cambiamenti profondi è l’apprendistato. Negli ultimi anni si è insistito molto per sostenere che con le sue tre tipologie questo fosse il contratto per l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro. Doveva anche essere il contratto che avrebbe permesso di avviare in Italia il sistema duale scuola-lavoro come avviene in Germania. È infatti tale sistema che ha dato, fra tutti i modelli europei, i risultati migliori.
In realtà, in Italia i contratti di apprendistato sono rimasti residuali a causa di molti elementi. Prima di tutto per il costo del lavoro eccessivamente vicino al contratto principale di riferimento e quindi per il peso burocratico e di responsabilità assegnato alle imprese (anche per le Pmi) e per interventi regionali che hanno ulteriormente appesantito gli aspetti gestionali. A questo oggi va aggiunto che il sistema di sgravi fiscali assegnati alle nuove assunzioni (in particolare sosterrà il contratto a tutele crescenti) rischia di spiazzare completamente il contratto di apprendistato rendendolo meno gestibile e più costoso per le imprese.
Partendo da questa riflessione, sulla necessità di mettere mano a un effetto indesiderato degli sgravi fiscali, il governo sta in realtà cercando una via per rilanciare l’apprendistato come veicolo principale del rapporto scuola-lavoro. Per l’apprendistato di primo (garantisce la copertura dell’obbligo scolastico e di un titolo di formazione professionale) e quello di terzo livello (garantisce livelli di diploma professionale o di primo livello universitario) si punta a una drastica semplificazione dei percorsi scolastici attraverso un “protocollo formativo” fra scuola e impresa, con il 50% di formazione “on the job”. Una proposta di tale portata, se diventa base minima nazionale e non viene distorta da interventi regionali, può diventare realmente la base per il decollo di un sistema duale scuola–lavoro come già realizzato in quei territori dove la formazione professionale è stata sviluppata sulla base del rapporto fra formazione e sistema delle imprese.
In queste regioni i centri di formazione professionale sono già ora vere e proprie agenzie per il lavoro e si preoccupano degli sbocchi occupazionali dei giovani dalla progettazione dei corsi proposti e sviluppando formazione on the job durante il percorso scolastico.
Un accordo sindacale che incida anche sul costo del lavoro, modulandolo sulla base del peso della parte formativa e a crescere con la capacità professionale dell’apprendista può essere il modo con cui realizzare nel Paese un cambiamento profondo dei percorsi scuola-lavoro e restituire all’apprendistato un valore reale come contratto per l’inserimento al lavoro dei giovani.
Determinante sarà abbattere l’ultima barriera ideologica che vuole questo contratto solo come un rapporto tra impresa e giovane. L’apprendistato duale regge se invece trova nella scuola, nell’istituto di formazione professionale, nell’università, il centro propulsore che assicura nel triennio contrattuale il ruolo di tutor e di organizzatore di percorsi personalizzati di formazione e lavoro.
Un Paese fatto di molte piccole imprese non può lasciare solo al contratto la soluzione dei problemi, deve avere il coraggio di sostenere chi con piena responsabilità ha dimostrato in questi anni di avere accettato la sfida che il lavoro giovanile pone a un modello economico che non trova altrimenti risposte.