Mamma li rumeni! Parafrasando antiche esclamazioni di terrore, potremmo dire che i tentativi di diffondere anche in Italia i contratti in stile “Bucarest” (il contratto a tutele rumene, le chiama la Work Support Agency, agenzia interinale con sede a Brasov), per ora registrati e denunciati nella sola Emilia Romagna, dimostrano quanto sia turbolenta e rivoluzionaria la fase storica che stiamo attraversando.
Il capitalismo, infatti, ha portato a termine quell’opera d’internazionalizzazione tanto auspicata e sognata dai disciolti regimi comunisti. L’ha fatto però a modo suo. Così dopo averne cambiato l’antico e politicissimo nome nella più attuale globalizzazione (e si badi bene a non pensare che si tratti solo di una ordinaria questione onomastica), e aver preso a pretesto le rigidità di chi pensava che la storia si fosse davvero fermata, avesse concluso il suo corso, il sistema capitalistico ha rapidamente esportato il proprio modo di intendere il mercato, la propria visione del lavoro, del rapporto tra dipendente e imprenditore.
Anni fa un dibattito attraversò l’Europa: come fare ad arginare l’idraulico polacco che garantiva un buon lavoro a prezzi decisamente più bassi dei suoi colleghi europei dell’Ovest? Oggi, inevitabilmente, la questione è arrivata a interessare anche gli operai, le tute blu. Mentre da noi ci si è arrovellati per anni su battaglie puramente di rappresentanza, come ad esempio sulla pregnanza nel terzo Millennio della tutela offerta dall’articolo 18, il Mercato (moderno Moloch o semplicemente versione coeva della Auri sacra fames virgiliana?) si è guardato intorno e ha deciso che l’Italia è, come spesso ci capita, il ventre molle dell’Europa, e che questo era il terreno giusto su cui attaccare.
Attaccare chi e cosa? I diritti dicono gli uni, le tutele dicono gli altri. E mentre i primi di fronte all’ineluttabile scontro, sentendosi perdenti, già si preparano alla consueta “indignazione”, alla chiamata alle armi di artisti, intellettuali, musicisti e global-contestatori di ogni sorta e genere, confidando che vi sia un giudice a Berlino che impedisca per sempre al mondo di cambiare, i secondi, entro i quali schiero orgogliosamente anche il mio sindacato, la Cisl, si preparano sì alla battaglia contro i nuovi “pirati e filibustieri dei contratti”, i Capitan Drake e gli Henry Morgan del XXI secolo, ma lo fanno a partire dalla coscienza che indietro non si può mai tornare e che le tutele per i più deboli non sono mai conquistate una volta per tutte.
La risposta alla sfida che ci viene dall’Emilia Romagna – e se le cose hanno un senso occorre anche leggere una sorta d’ironica legge del contrappasso in tale coincidenza – non è un antistorico ulteriore irrigidimento delle norme, bensì un allargamento delle tutele attraverso la contrattazione, la differenziazione, l’adattamento degli accordi alle diverse condizioni di mercato, di prodotto, di competenza.
Più contrattazione a livello di aziende, di territorio, di filiera produttiva e meno leggi general generiche, meno sentenze di giudici, pretori, meno circolari: questa dovrebbe essere la nostra risposta, la risposta di chi vive il presente e non di chi attualizza il passato, alla sfida rumena. Nessun imprenditore normale, a nostro avviso e secondo la nostra esperienza, investe solo sul costo del lavoro come condizione per produrre di più e guadagnare di più. Se il solo elemento per conquistare i mercati è il costo del prodotto, ci sarà sempre un luogo, su questo pianeta, nel quale qualcuno accetterà una paga inferiore pur di prendersi il lavoro. Se qualcuno qui da noi si dichiara disposto a seguire questa strada è perché sforna prodotti di bassissima tecnologia, di poco contenuto. Insomma, è qualcuno che vive e prolifica in settori decotti, che naviga ai margini del mercato, quand’anche non solcasse i mari dell’illegalità.
Ma proprio da loro, da questi settori marginali, proviene una sfida che prima o poi riguarderà tutti e che va presa molto sul serio, perché richiede risposte razionali e ragionevoli, e non accetterà grida manzoniane o i soliti dibattiti “LaSette style”, inconcludenti e autoreferenziali. L’ennesimo landiniano proclama in attesa del Sol dell’Avvenire per respingerà il dumping alla rumena, anzi ne favorirà inconsapevolmente proprio lo sviluppo!
Lanciare questa sfida, la provocazione del “sottocosto salariale”, qui da noi, significa infatti, aver individuato nel sistema Italia la vera falla del welfare system europeo: siamo troppo rigidi, troppo convinti che il futuro si costruisce solo se si conserva intatto il passato, troppo compassati e ingessati in discussioni (démodées ma tanto tanto intellettuali!), per non essere una bella preda per i mercanti di carne umana, per i detrattori delle tutele dei lavoratori e del lavoro.
La risposta, dura e decisa, che dobbiamo dare loro deve guardare al domani, non alla conservazione di un passato glorioso fin che si vuole ma appunto passato. O pensiamo, ci si passi la boutade, di combattere le guerre del prossimo millennio (se mai, e Dio non voglia, ce ne saranno), chiamando a raccolta le gloriose legioni romane perché hanno conquistato il mondo e quindi “quelle sì che sono forti”?
E allora: più contrattazioni e meno manifestazioni per sconfiggere i corsari dei salari!