Il premier inglese David Cameron ha approvato una riforma delle pensioni in base a cui chiunque abbia superato i 55 anni di età potrà ritirare l’intera somma dei contributi versati nel corso della vita lavorativa. Un quarto della somma sarà esentasse, mentre il restante 75% rientrerà in una tassazione ordinaria. Chi ritira i suoi contributi non avrà diritto però a una pensione pubblica. Cameron conta in questo modo di rilanciare la domanda interna e di conseguenza il Pil. Ne abbiamo parlato con Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano.
Che cosa ne pensa della riforma del premier inglese Cameron?
Vorrei conoscere i dettagli di questa riforma nel Regno Unito e capire esattamente quali sono le percentuali di riscatto dei contributi che sono state stimate. Se in Italia tutti riscattassero i loro contributi nell’arco di poco tempo, l’Inps andrebbe in bancarotta. Nel nostro Paese esiste un sistema a ripartizione, in cui i lavoratori pagano per chi è in pensione oggi e non invece per la loro stessa pensione di domani.
Quindi l’idea di Cameron non è applicabile all’Italia?
Di fatto il sistema italiano si regge sugli attuali contribuenti. In una situazione di scarsa crescita o addirittura di decrescita come quella che abbiamo attraversato finora mi sembra veramente difficile che l’idea di Cameron in Italia possa essere sostenibile dal punto di vista degli impegni di bilancio dell’Inps.
Poniamo il caso di una donna che ha pagato i contributi per dieci anni, e che poi è andata in maternità e non ha più lavorato. Non sarebbe più conveniente ritirare i contributi che ha versato, anziché aspettare 67 anni per poi avere una pensione minima?
Questo è il grande tema di chi ha avuto una vita contributiva discontinua o comunque ha versato pochi contributi perché ha avuto un reddito modesto. Per come è strutturato oggi il sistema previdenziale, chi nel corso della sua vita contributiva non ha superato un certo montante si ritroverà con una pensione sociale, e dunque sostanzialmente avrà versato invano. Non c’è dubbio che per questi soggetti sarebbe conveniente riscattare tutto quello che hanno versato. Il punto è se il nostro sistema previdenziale sarebbe in grado di reggere questo anticipo di prestazioni previdenziali. Io ho qualche perplessità.
Il presidente dell’Inps Boeri ha proposto di tassare chi ha pensioni elevate non giustificate da contributi, per introdurre un reddito di cittadinanza per gli ultra 55enni che perdono il lavoro. È d’accordo con lui?
Il grande problema che abbiamo di fronte è il pregresso costituito dal metodo retributivo. Avendo avuto questa transizione al contributivo, oggi ci troviamo di fronte a due sistemi che convivono. Da un lato c’è chi ha iniziato a lavorare dopo al 31 dicembre 1995 e non può avere un calcolo del trattamento previdenziale diverso da quello che ha versato, mentre chi ha iniziato a lavorare prima di quella data ottiene un assegno più sostanzioso. L’idea di Boeri è quella di accelerare il processo di transizione e quindi di andare tutti verso un sistema contributivo. Il taglio dovrebbe quindi riguardare quella parte che eccede l’effettivo versamento. È una proposta condivisibile, in quando il sistema diventa più equo per tutti, ma il problema è quello di vedere quanto questo consente effettivamente di recuperare in termini di risorse. I tecnici dell’Inps hanno evidentemente fatto i loro conti, ma bisogna vedere se esista effettivamente la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro e godere del trattamento previdenziale.
Che cosa ne pensa dell’indagine conoscitiva della commissione Lavoro sulle disparità che subirebbero le donne?
Condurre un monitoraggio attento è fondamentale, perché bisogna capire quali sono gli effetti della riforma Fornero. Ciò non soltanto in termini di numeri aggregati, ma anche di incidenza specifica sulle categorie dei lavoratori. Se dovesse emergere che effettivamente c’è un’incidenza negativa fortemente penalizzante per le donne, ritengo che qualche misura correttiva vada introdotta.
(Pietro Vernizzi)