Con un’intervista in cui soprattutto parla della nascita dei suoi due gemelli (felicitazioni Ministro!), Beatrice Lorenzin ha spiegato anche come, da neomamma, tornerà all’impegno quotidiano al ministero. Il supporto essenziale lo troverà nel nido che già è in funzione presso il suo dicastero. Il servizio nido è stato reso possibile da una scelta di contribuzione che coinvolge tutti i dipendenti ed è un sostegno reale per coloro che hanno figli in età prescolare.
Il tema di come conciliare il lavoro femminile con i tempi della famiglia, in particolare nel periodo di maternità, si pone da tempo. Va bene avere esteso la possibilità di permessi sia al padre che alla madre, ma è evidente che non si tratta solo di interventi di parità ciò di cui ha bisogno il mercato del lavoro. Come più volte ricordato, il tasso di occupazione femminile italiano è particolarmente basso. Si avvicina all’obiettivo europeo del 60% solo in poche zone di Emilia Romagna e Lombardia. Nel Sud resta abbondantemente sotto il 50% e fa emergere uno degli squilibri strutturali più radicati.
La curva di partecipazione delle donne al mercato del lavoro registra inoltre un’interruzione che coincide con il periodo di età più fertile. Vi è perciò ancora un numero significativo di donne che inizia a lavorare e interrompe la partecipazione al mercato del lavoro durante la maternità per poi, dopo 5 anni, tornare a essere in cerca di occupazione. Ciò pesa ovviamente sul percorso professionale di chi compie questa scelta e ha un costo anche per la società nel suo complesso per la perdita del contributo di capitale umano che ne è la conseguenza.
In genere si pensa di relegare la risposta solo in termini di servizi sociali. Più nidi è stata per lungo tempo la richiesta che avrebbe dovuto rispondere alle esigenze delle donne lavoratrici. Se guardiamo però alla realtà dei paesi che hanno un alto tasso di occupazione femminile vediamo che non sono solo i servizi all’infanzia la risposta. I nidi sono essenziali, se realizzati nelle stesse zone del luogo di lavoro permettono anche una migliore conciliazione degli orari, ma sono solo parte della risposta. In generale, in quei paesi vi è un insieme di opportunità per il periodo di nascita dei figli e per la durata della prima infanzia che riguardano la possibilità di mantenere il posto di lavoro rendendo più flessibili orari e partecipazione lavorativa. Il perno è la possibilità di finire, senza penalizzazioni, a tempi parziali che permettano di organizzare diversamente la propria gestione dei tempi di vita e di lavoro.
La possibilità di prendere periodi di aspettativa, parzialmente retribuita o non retribuita, mantenendo però il rapporto lavorativo concilia inoltre la permanenza in attività anche in periodi in cui prevalgono le esigenze famigliari. È perciò da valutare positivamente l’impegno con cui nel Jobs Act (ultimo decreto) si è affrontato decisamente un tema per troppo tempo solamente evocato.
Si sono estese le tutele di maternità a tutti i contratti e si è operato per una reale parità di opportunità sia per le madri che per i padri. Si è però agito anche sulla possibilità di scegliere periodi di aspettativa e optare per un passaggio temporaneo a un part-time conciliativo con le esigenze di organizzare diversamente i tempi di vita e di lavoro.
La problematica della conciliazione fra famiglia e lavoro non riguarda solo i periodi di occupazione. Anche nei servizi al lavoro, nelle fasi di ricollocazione, si dovrà tenere conto delle esigenze poste dalla fase della maternità e più in generale delle problematiche famigliari. Se non vogliamo che periodi di disoccupazione penalizzino doppiamente le donne bisogna prevedere che la partecipazione a programmi di politiche attive, siano essi lavori di utilità sociale o percorsi di adeguamento formativo, prevedano il servizio di sostegno nel caso di donne con bambini in età prescolare e orari di partecipazione rispettosi delle esigenze famigliari.
Nei territori regionali dove si è già sperimentato un modello di politiche attive sono state attivate esperienze in questo senso. Si tratta di promuovere le best practices che ne sono derivate in termini di voucher per acquisire servizi assistenza all’infanzia o di organizzazione di reti di servizi a sostengo dell’occupabilità femminile.
Anche nelle imprese si sono sviluppate esperienze importanti di conciliazione famiglia-lavoro. Alcune hanno previsto il nido nei nuovi insediamenti produttivi e forniscono opportunità di servizi utili per la famiglia. Il caso del “maggiordomo” aziendale è esemplificativo. In alcuni casi l’azienda ha messo a disposizione un servizio cui rivolgersi per tutti quei servizi che per essere sbrigati obbligavano a richiedere permessi di assenze o ferie. Dalla prenotazione di visite mediche al pagamento di bollette, dal ritiro di documenti ai piccoli lavori casalinghi, l’azienda ha organizzato un servizio di assistenza che permetteva ai lavoratori di ottenere quanto serviva senza assentarsi dal lavoro.
La sfida che così si apre per i nostri servizi al lavoro, ma anche per le organizzazioni di rappresentanza, è come estendere a tutti i territori queste opportunità. Come si sa il nostro sistema produttivo è caratterizzato da aziende di piccola dimensione. Non potrà quindi essere la singola azienda a promuovere servizi di questo tipo. Vi è la necessità di fare reti territoriali per far crescere un nuovo welfare di comunità. È una sfida affascinante per chi ritiene si possa continuamente operare per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tutti.