«Occorre pensare a un intervento specifico di sostegno per due categorie di soggetti: le donne che non riescono a raggiungere l’età pensionabile prevista dalla legge Fornero e gli over 55 che perdono il lavoro». Lo afferma Stefano Giubboni, professore di Diritto del lavoro all’Università di Perugia, a proposito del dibattito in corso sulle misure nel campo del welfare. Il presidente Inps, Tito Boeri, recentemente ha illustrato la sua proposta, che consiste nel tassare le pensioni più ricche per assegnare un reddito di cittadinanza agli over 55 che perdono il lavoro. L’Inps intanto ha disposto di mettere in pagamento in questi giorni la restituzione ai pensionati della cifra che spetta loro dopo il decreto del Governo per far fronte alla recente sentenza della Corte costituzionale. Quest’ultima aveva dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni stabilito dal governo Monti.
Ritiene che a quattro anni dalla legge Fornero sia necessaria una nuova riforma delle pensioni? Occorre una misura di correzione delle distorsioni distributive, che si annidano in quei trattamenti pensionistici calcolati con il metodo retributivo puro, che più si allontanano dal tasso di rivalutazione consentito dal contributivo. Bisogna però intenderci su quali siano le vere “pensioni d’oro”, in quanto fino al quintuplo del trattamento minimo io ritengo che non siano tali. Il problema è stabilire in concreto quali saranno le misure e soprattutto quali siano le categorie tra le quali deve avvenire questa redistribuzione. Il timore è che a essere intaccate saranno fasce sociali che già hanno molto sofferto in questi anni. Sul piano teorico l’impostazione di Boeri è però condivisibile.
Bisogna intervenire a sostegno delle pensioni minime? Le pensioni minime coinvolgono soprattutto la popolazione femminile, e una qualche forma di intervento è una questione di equità sociale che non può essere elusa per troppo tempo. In prospettiva l’insostenibilità di un rigore omogeneo e uniforme nell’accesso al trattamento pensionistico riguarda soprattutto le lavoratrici.
Perché per le donne ci sono maggiori difficoltà?
In Italia ci sono stratificazioni di comportamenti sociali che non sono ancora quelli di un Paese in piena modernità capitalistica. Il peso del welfare familiare, che soprattutto in periodo di crisi ha avuto un ruolo decisivo, da noi è ancora in larga parte sopportato dalle donne. Il problema è dunque concedere soprattutto alle lavoratrici una possibilità di accesso flessibile, naturalmente con penalizzazioni, al trattamento pensionistico. Ma lo stesso si può prevedere per i lavoratori maschi intorno ai 60 anni che rischiano un’espulsione irreversibile dal mercato del lavoro.
Bisogna prevedere misure anche per i lavoratori anziani che perdono il lavoro?
Come giustamente ha ribadito il presidente Inps Boeri, un altro tema importante è quello del sostegno del reddito degli over 55. Questi ultimi, essendo fuoriusciti dal mercato del lavoro a un’età avanzata, sono comunque troppo giovani per accedere al trattamento pensionistico. Da parte di questi soggetti c’è una fascia di sofferenza sociale molto forte.
È sufficiente un intervento per gli over 55?
No. Per affrontare in modo efficace il problema della povertà assoluta, che pure sembra essersi arrestata ma che rimane sempre un bubbone terribile, occorre dotarsi di un reddito minimo garantito. È un tema che è stato sollevato dallo stesso presidente Boeri, sostenendo la necessità di introdurre una forma di “assegno sociale” rivolto a questi soggetti. Va ovviamente unito a strumenti di riattivazione di chi perde il lavoro, distinti dalla questione della flessibilità dei requisiti di accesso alla pensione. A essere coinvolta è una platea di soggetti che non potrebbe comunque ancora aspirare ad avere un trattamento pensionistico reso più flessibile nelle condizioni di accesso.
(Pietro Vernizzi)