QUO VADO?/ Checco Zalone e la “parabola” (dal lavoro alla politica) sull’educazione

- Daniel Zanda

Quo vado, il film di Checco Zalone, sta riscuotendo molto successo di pubblico al cinema. DANIEL ZANDA e CLAUDIO COGORNO ce ne offrono una lettura molto interessante

Quovado2_MaurizioRaspante_R439 Una scena del film (foto di Maurizio Raspante)

“Non per compassione, non per commozione ma per educazione”. Questa è una delle frasi più ricorrenti del film Quo vado?, significativa perché offre una lettura del film che va oltre la parodia e l’ilarità con la quale Checco Zalone elogia e ribalta tutti i luoghi comuni all’italiana. La nostra è una lettura che non vuole essere né di carattere artistico commerciale e nemmeno troppo romantica – oltre gli estremismi della commedia -, riscontrando che in alcuni momenti è evidente una sintonia con i film di Totò, popolati di personaggi che si rintracciano nella vita di tutti i giorni, a volte rappresentati in modo caricaturale, ma che ben mostrano tutto il loro carico di umanità, fatta di sogni, desideri e paradossi.

Persone capaci di accettare eventi e cambiamenti della vita, magari più grandi di loro, ma che hanno inevitabilmente a che fare con loro, dove la persona semplice dimostra non solo uno grande spirito di adattamento, ma soprattutto la capacità di accogliere la novità, il nuovo.

Checco, posto fisso per eccellenza, con una vocazione che risale all’età infantile, non rappresenta però l’immobilismo, ma anzi, pur di tenersi stretto il lavoro (e chi oggi non lo farebbe) è disposto a cambiare, a viaggiare, a rimettersi in gioco. Ma soprattutto è in grado di cercare e trovare una positività in quelle che nei piani della sua dirigente sono circostanze e condizioni assolutamente insormontabili. Questo è sicuramente espressione di un’educazione, cioè un’apertura e un’intelligenza nella realtà, capace di cogliere gli aspetti di valore ed esaltarli, anche (se non soprattutto) nel lavoro. 

È interessante anche un altro aspetto, se vogliamo più puramente “sindacale”. Cioè il legame vizioso che può legare due concetti: quello delle tutele con quello dei privilegi. Zalone, nella sua comicità, fa coincidere questi due temi, in un’operazione non troppo difficile, perché quando si perde il senso dello scopo allora è immediato il decadimento. Quando le tutele perdono il loro legame con la realtà, quindi perdono di moralità, intesa come legame tra il particolare e il tutto (la complessità della vita), allora diventano privilegi, perché non hanno più il compito di servire, perdono il loro nesso con un bisogno (appunto) da tutelare. 

Infine, un terzo aspetto, che espresso male può essere sintetizzato con “l’orgoglio di essere italiani”. Apparentemente estasiato dall’efficienza scandinava, Checco si ritrova a rimpiangere i difetti ma soprattutto i pregi dell’italianità. In particolare, è l’assenza di un’umanità che colpisce il protagonista (come sempre estremizzata nella dinamica della commedia), quell’umanità che emerge dai piccoli gesti di gentilezza. Il film dedica ampio spazio, anche evidente un richiamo alla legalità e al rispetto delle regole (soggiorno norvegese), all’insegna del comportamenti politicamente corretti. Anche qui il giudizio è chiaro: le regole fine a se stesse non garantiscono la felicità (infatti il funzionario “che le garantisce” si suicida); magari portano a una più ordinata convivenza, ma la vera fratellanza nasce dalla capacità di affermare la propria originalità, senza infingimenti. E allora si può cucinare anche uno spaghetto pomodorini e krill.

Anche il legame con la politica ha un aspetto interessante. Il senatore interpretato da Lino Banfi, che svolge il ruolo del “santo in paradiso”, ha però un aspetto non secondario: cioè di una politica vicina alla gente, accanto ai problemi. Ma soprattutto il senatore svolge il ruolo del più classico aiutante fiabesco, facendo emergere un aspetto non scontato: che per chiedere un aiuto e soprattutto per accettarlo occorre riconoscersi bisognosi. 

Per ultimo la carità. Appunto, non per compassione non per commozione, ma per educazione. Perché anche la carità necessita di un’educazione, altrimenti si riduce a un sentimentalismo che fa sì del bene, ma non genera un cambiamento della persona.

 

(scritto con Claudio Cogorno)





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