I dati che emergono dall’applicazione di Garanzia Giovani fanno dichiarare al ministro del Lavoro Poletti che la misura sta funzionando e che può anche fungere da best practice per l’avvio dei nuovi servizi nazionali per il lavoro. I risultati di Garanzia Giovani sono in effetti buoni per aver mobilitato un’ampia platea di ragazzi che si sono registrati al sito e sono stati poi contattati per avviare percorsi formativi e lavorativi. Che oltre mezzo milione di giovani si attivasse e chiedesse un sostegno per uscire da una condizione di né studio, né lavoro è una scommessa vinta. Possiamo certamente dire che l’insieme di iniziative e riforme fatte dal governo negli ultimi anni, pure in un periodo in cui la crescita economica non sostiene una forte domanda di lavoro, hanno permesso all’occupazione di crescere sia per quantità che per qualità contrattuale.
Se i numeri per la verifica di Garanzia Giovani sono arrivati solo dopo oltre 12 mesi è anche per la metodologia prescelta. Dopo la registrazione, operata volontariamente, i candidati vengono contattati per una profilatura professionale e per un colloquio di orientamento entro i 4 mesi successivi. Poi, con metodologie leggermente diversificate nelle singole regioni, vengono ricercati per proposte di percorsi formativi finalizzati o per proposte di avvio lavorativo. Dopo oltre 12 mesi dall’avvio del programma, più di 20.000 giovani hanno trovato un impiego con contratti a tempo indeterminato. Oltre 100.000 sono invece impegnati in percorsi che dovrebbero portare a una stabilità lavorativa.
Come evidenziato dalla scansione dei passaggi che hanno caratterizzato il programma Garanzia Giovani, solo parzialmente si potrebbe, a mio parere, usare come best practice per i nuovi servizi al lavoro. La questione principale strutturale è che il numero di addetti dei Centri per l’impiego pubblici del nostro Paese è assolutamente inadeguato numericamente e ha una formazione da gestore burocratico di atti amministrativi, mentre è richiesto, per il futuro, un operatore attivo nella ricerca di sbocchi lavorativi.
Dato che servirebbe l’assunzione di un numero notevole di nuovi operatori, meglio sarebbe creare un sistema pubblico-privato di accreditamento con la rete di Agenzie per il lavoro. Ciò permetterebbe di contenere le nuove assunzioni e produrrebbe una rete di servizi più distribuita ed efficace. Anche per le Apl si aprirebbe una sfida, perché le porterebbe a dare vita a un servizio diverso da quello abituale di ricerca del lavoratore con la professionalità richiesta dall’azienda. La nuova fase dei servizi porta a formare professionalità e ricercare posti di lavoro per l’offerta, non rispondere solo alla domanda di lavoro che si manifesta.
Ulteriori riflessioni per gli sviluppi di Garanzia Giovani vengono poi dai dati della ricerca Istat sugli indicatori Bes delle provincie italiane. In tema di istruzione, formazione e lavoro, tali dati delineano il quadro di un Paese ancora fortemente marcato da differenze territoriali. Nel campo dei percorsi formazione lavoro l’unico dato che mostra poca variazione sul piano nazionale è il tasso di “abbandono scolastico”. La media nazionale di giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno solo la licenza media inferiore è del 15,8%. Le differenze fra nord e sud all’interno delle provincie delle diverse aree geografiche è nell’ordine di + 0,2 punti percentuali. Per quanto riguarda invece la scolarità superiore e universitaria è il sud che ha un tasso molto superiore ai ragazzi del nord. In modo speculare il tasso di occupazione giovanile nelle provincie del nord-ovest e del nord- est è di circa 10 punti superiore al tasso di occupazione del mezzogiorno.
Anche con solo questi pochi dati, la ricerca Istat si presta a molte riflessioni per politiche territoriali mirate ed emerge come sia necessario potenziare gli interventi e gli impegni sui percorsi di formazione professionale. L’economia del nord è ancora in grado, nonostante la crisi e le ristrutturazioni avvenute, di attrarre giovani anche in assenza di preparazione professionale. Addirittura senza concludere nessun percorso formativo dopo la media inferiore. Di riflesso la scuola secondaria è per il mezzogiorno il contenitore di giovani che non hanno alternativa attraverso percorsi più vicini a dare sbocchi professionali.
Aprire allora una formazione professionale legata ai sistemi di impresa territoriali è indispensabile sia per affrontare il tasso di abbandono scolastico, sia per operare una correzione di una “scuola parcheggio” che non orienta a ricercare le proprie competenze professionali. Abbinato all’apprendistato si darebbe vita a un sistema duale, scuola-lavoro, che è un po’ da tempo la richiesta che emerge da realtà giovanili e delle imprese. L’impegno a partire anche quest’anno c’è stato. Auguriamoci non venga reso inefficace da soliti interventi regionali che invece di innalzare gli obiettivi minimi nazionali riescono a disperdere risorse ed energie.