«Introduciamo il “pensionamento dolce’ degli ultrasessantenni grazie ai fondi comuni creati con i finanziamenti dello Stato e con i contributi di imprese e lavoratori». È la proposta di Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. In attesa della flessibilità pensionistica che renderebbe meno rigida la riforma Fornero, Matteo Renzi ha lanciato l’idea del bonus da 80 euro per le pensioni minime. I sindacati però chiedono di più e, dopo la manifestazione del 2 aprile in tutti i capoluoghi di provincia italiani, si preparano ad altre forme di mobilitazione.
Quali sono gli obiettivi della mobilitazione dei sindacati?
È ormai un pensiero diffuso che questo rigido sistema di pensionamento crea problemi per chi ha una lunga stagione di lavoro, spesso con mestieri non semplici dal punto di vista psico-fisico. Ma soprattutto la legge Fornero crea un blocco al turn-over di cui invece ci sarebbe tanto bisogno nelle imprese. Anzi diventa assolutamente necessario soprattutto in quelle tecnologicamente più esposte, dove l’aggiornamento è complesso e c’è bisogno di professionalità che hanno avuto un percorso di competenze più recenti.
Finora il governo Renzi ha mostrato che la sua strategia è quella di non dialogare con i sindacati. Questa volta pensate di ottenere qualcosa?
La nostra impressione è che quello della flessibilità pensionistica sia diventato un tema che nei principi generali è condiviso da tutti. Lo stesso proliferare di proposte come quelle del presidente Inps, Tito Boeri, e delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, dimostrano l’attenzione di maggior parte della politica. Ovviamente c’è un problema.
Quale?
Per fare una modifica seria e sostenibile occorre tenere conto dell’aspetto finanziario. A meno che si vogliano introdurre penalizzazioni tali da mettere in atto una brutale operazione a costo zero. Questo però ci sembrerebbe ingiusto e controproducente, perché a fronte di un danno sull’entità dell’assegno pensionistico si determina un effetto fortemente dissuasivo.
Quindi voi dite no a riforme a costo zero?
E’ giusto che la finanza pubblica ci metta qualcosa. Si può ragionare sull’entità, sulla gradualità, sulla compartecipazione delle stesse persone nel sostenere il costo delle casse pubbliche, ma è inevitabile che sia lo Stato a mettere una prima toppa al rigido sistema dello scalone instaurato dalla Fornero.
Boeri ha proposto una penalizzazione del 3% annuo per tre anni di anticipo massimo. È un compromesso accettabile?
Noi crediamo che si possa andare verso un compromesso, ma in questo caso non lo ritengo accettabile perché il costo della flessibilità è ancora troppo oneroso. Lo schema generale da adottare però è questo. Forse bisognerebbe usare un po’ di fantasia, nel senso che dovremmo incrociare il sistema pensionistico anche con altri fattori. Tra questi ultimi ci sono il part time per i lavoratori più maturi e un incrocio con gli ammortizzatori sociali.
Concretamente che cosa si potrebbe fare?
In alcuni settori abbiamo un’esperienza importante e consolidata. Attraverso un contributo di imprese e lavoratori si sono costruiti dei fondi che hanno permesso di accompagnare al “pensionamento dolce” decine di migliaia di persone. Quel modello potrebbe essere ripreso con il sostegno finanziario dello Stato, in modo da offrire una prima risposta a una fascia importante dei lavoratori ultrasessantenni.
Secondo Boeri, per sei lavoratori su dieci le pensioni saranno più basse di quanto si aspettino. Che cosa si può fare per i giovani?
Intanto i giovani devono lavorare, e anche il prima possibile. In mancanza di una quantità e qualità di lavoro decente infatti non esiste una soluzione automatica. Purtroppo nel nostro Paese si comincia troppo tardi ad avere un lavoro continuo, con una retribuzione abbastanza regolare. Nel frattempo, in attesa che la ripresa ci consenta di dare la risposta ai problemi dell’occupazione giovanile, certamente va riaperto il tema di una previdenza integrativa che non può essere penalizzata.
(Pietro Vernizzi)