«Il Jobs Act è una misura utile al nostro Paese, ma i suoi effetti positivi inizieranno a farsi sentire soltanto quando la crescita economica diventerà più marcata». È quanto sottolinea Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Secondo i dati Inps diffusi mercoledì, nel primo trimestre 2016 le assunzioni da parte di imprese private sono state pari a 1 milione e 188mila, con un calo di ben 176mila unità rispetto al primo trimestre 2015 (-12,9%).
Professore, i dati dell’Inps documentano che le ricette di Renzi non funzionano?
Ciò cui stiamo assistendo è una conseguenza normale di queste misure. Il Jobs Act non può fare tornare il tasso di disoccupazione a livelli pre-crisi in assenza di una crescita economica più rapida. Quello che si può sperare è che, quando l’economia ripartirà, misure come il Jobs Act possano indurre l’imprenditore ad assumere a tempo indeterminato con maggiore facilità rispetto al passato.
Perché allora il boom iniziale di assunzioni si è sgonfiato?
Il boom temporaneo di assunzioni a tempo indeterminato cui abbiamo assistito nella fase iniziale era legato al fatto che gli incentivi del Jobs Act erano un provvedimento tampone. Quest’ultimo serviva a far vedere qualche effetto sul mercato del lavoro in attesa di una ripresa più consistente. Sarà nel corso dell’anno che vedremo se si materializzeranno degli effetti ulteriori.
Che cosa occorre perché gli effetti siano più marcati?
Per vedere effetti più decisi sul mercato del lavoro occorre che la crescita sia superiore all’1%. Non demonizzerei quindi il Jobs Act, anche se forse quest’ultimo ci è stato venduto come qualcosa che poteva fare di più di quanto ci si poteva realisticamente attendere. Il vero problema è un altro: finché la spesa pubblica continua a essere quella che è, non si possono ridurre ulteriormente le tasse e dunque rilanciare l’economia.
Secondo lei l’effetto del Jobs Act sul mercato del lavoro è stato comunque positivo?
È presto per dirlo, si tratterà di aspettare qualche altro mese per capire un po’ meglio quanta parte delle assunzioni sia dovuta alla decontribuzione e quanta dipenda dalle novità normative. Approvare il Jobs Act è stato comunque utile, perché è una norma associata a una più facile creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato. Anche se gli effetti si faranno sentire quando la ripresa diventerà più consistente di quella attuale.
Per molti il lato più debole della politica del governo Renzi è l’economia. Condivide questo giudizio?
Nell’ultimo anno e mezzo si è verificato un ritorno dell’Italia alla crescita economica. Non credo che ciò sia attribuibile soltanto all’azione del governo, ma un effetto positivo di iniezione di fiducia comunque c’è stato. Ciò ha fatto sì che una buona quota parte ha deciso di consumare gli 80 euro anziché risparmiarli come era avvenuto nella fase iniziale. Altri provvedimenti dovranno essere completati così da produrre un effetto più forte.
Quali?
Penso alla riforma del diritto fallimentare e della pubblica amministrazione. Entrambe fanno parte di un pacchetto di modernizzazione del Paese che è necessario per poter dire di aver fatto quello che serve per rilanciare la crescita economica. L’Italia rimane comunque con un forte debito pubblico e con rilevanti problemi strutturali. Tutto ciò non può essere cancellato in uno o due anni.
Il governo Renzi è stato accusato di fare riforme economiche a solo vantaggio delle imprese anziché di famiglie e lavoratori. È veramente così?
No, anzi se dovessi fare una critica a Renzi sottolineerei il fatto che alcuni dei suoi provvedimenti sono stati gestiti come misure elettorali. Penso al bonus da 80 euro, ai 500 euro ai diciottenni definiti come soldi per la cultura e al bonus per gli agenti di polizia fatto passare come soldi per la sicurezza.
(Pietro Vernizzi)