Alternanza sì, alternanza no. Dall’entrata in vigore della legge 107 del 2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, che prevede, finalmente, l’obbligatorietà di percorsi di alternanza scuola-lavoro nell’ultimo triennio delle scuole superiori, le risposte di studenti, professori, imprese e genitori sono state, ovviamente, differenti. Si pensi che gli studenti sono arrivati a proclamare uno sciopero per contrastare la misura pensata per colmare il divario tra scuola e mercato del lavoro che, in Italia, ha assunto, come ben noto, proporzioni sempre più consistenti e preoccupanti.
I primi dati, almeno quelli meramente quantitativi, sono abbastanza incoraggianti: il sistema dell’alternanza lo scorso anno scolastico ha, infatti, coinvolto più di un milione di studenti e circa cinquemila imprese, oltre a ben 650 associazioni di volontariato. Numeri che raccontano, quindi, una trasformazione in atto, realizzata, primariamente, dagli attori della formazione e dell’istruzione chiamati, oggi, a testare su loro stessi un nuovo, almeno per il nostro Paese, modello formativo.
Una “rivoluzione” in fieri che si sta realizzando, ovviamente, non senza difficoltà. La costruzione di un sistema nuovo richiede, infatti, prove sul campo, sperimentazioni e soprattutto una ricerca costante di soluzioni efficaci alle problematiche, non programmabili, che inevitabilmente si incontrano. Ancor di più, in questa prospettiva, serve, si pensi in particolare alle scuole, flessibilità e adattabilità al nuovo contesto.
In questo quadro, ad esempio, anche per rispondere alle perplessità emerse e per far comprendere meglio l’importanza dell’alternanza, Federmeccanica, la Federazione Sindacale dell’Industria Metalmeccanica Italiana, ha presentato un “cortometraggio” dal titolo “Beata Alternanza”. Si cerca, insomma, in maniera simpatica e ironica, di fare chiarezza su alcuni dei principali luoghi comuni che circolano intorno all’alternanza: “Mio padre dice che è una perdita di tempo, mi distrae dallo studio!”, “Ma sul serio si vogliono mandare i nostri studenti in fabbrica? Anche le donne? E l’italiano, la matematica, l’inglese?” o “Ho letto sul giornale che è un altro modo per sfruttarci!”.
Un’iniziativa, quindi, quella di Federmeccanica, certamente utile per aiutare a sviluppare un dibattito sul tema dell’alternanza. Se, infatti, la pratica è stata velocemente accettata da tutte le parti interessate è già forse oggi il tempo di un primo monitoraggio che faccia emergere le esperienze migliori da copiare e implementare anche in altre realtà.