Devono far riflettere i dati recentemente pubblicati da Almalaurea e Almadiploma sul livello di soddisfazione degli allevi delle scuole superiori, rispetto alla scelta scolastica dopo la scuola media e sulla qualità dell’esperienza di alternanza scuola-lavoro a due anni dalla sua prima applicazione. Il dato che più sorprende è la percentuale di studenti “insoddisfatti” del percorso di studi secondario superiore scelto: più di un terzo (34%) non rifarebbe la stessa scelta. In realtà, se si va ad analizzare il dato scomposto si ottengono valutazioni sia sull’istituto frequentato (il 12% frequenterebbe lo stesso corso in un altro istituto), sia sulla tipologia di studi (l’8% frequenterebbe un altro indirizzo della stessa scuola), mentre il 26% non è soddisfatto né della scuola, né dell’indirizzo.
Le motivazioni addotte dagli interessati sono principalmente legate alla maggior possibilità di acquisizione di competenze legate al mondo del lavoro e alla prosecuzione successiva degli studi, ma probabilmente quanto riferito è frutto di una visione molto parziale del singolo intervistato. Certo è che un quadro così delineato è indicativo dell’esistenza di un problema relativo alla scelta dell’indirizzo di studi dopo la scuola media.
Quali le cause? Il tema è sicuramente ben presente nella programmazione degli interventi di orientamento e gli sforzi compiuti negli ultimi anni per diffondere una corretta informazione sulla tipologia di studi e sulle prospettive legate alle scelte dei corsi hanno migliorato la situazione. Evidentemente quanto fatto non è abbastanza e sembra ovvio che la non semplice soluzione passi attraverso azioni diversificate che potrebbero comportare anche interventi strutturali nel sistema scolastico italiano.
Una considerazione può essere utile per capire il “disorientamento” nella scelta e i conseguenti errori e rimpianti: il sistema formativo secondario superiore del nostro Paese è complesso e prevede una serie di possibili opzioni, che a volte si sovrappongono generando confusione in chi deve scegliere. Lo stesso fatto che al termine delle medie un ragazzo si trovi di fronte quattro possibili grandi canali (licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale) crea una prima difficoltà di scelta. È proprio così ben chiaro quale sia la differenza a livello di profili professionale e di competenze acquisite che differenzi queste quattro proposte?
In realtà, negli ultimi anni si è assistito a una progressiva “licealizzazione” degli istituti tecnici e a un aumento qualitativo dell’offerta della formazione professionale gestita dalle regioni, con il passaggio al quarto anno. Anche le riforme che si sono succedute non hanno generato chiarezza in questo senso. Probabilmente un sistema più semplice con due soli canali “liceale” e “professionale” con possibili passerelle tra i due, sullo stile di quello tedesco o di gran parte dei paesi nordici, contribuirebbe a semplificare almeno la scelta iniziale, pur non mettendo in discussione la possibilità di cambiare strada durante il corso di studi. Se a questo va aggiunto un quadro generale che vede una parte del sistema gestito centralmente dal Miur, mentre l’altra (formazione professionale) gestita in modo autonomo dalle regioni, si comprende che anche a livello di indirizzo le scelte non siano sempre lineari.
Un altro elemento di possibile confusione al momento della scelta è dato dalla poca definizione dei profili professionali formati da ogni corso di studi e delle competenze che vengono fornite. Se è vero che la scuola ha come compito primario quello di elevare il livello culturale della società, è altrettanto importante che i giovani dovrebbero venir dotati delle conoscenze e delle competenze necessarie al loro ingresso nel mondo del lavoro. Su questo tema è assolutamente importante intervenire soprattutto in considerazione dell’enorme divario rimarcato dal rapporto Ocse 2017 tra le competenze richieste dal mondo del lavoro e quanto il sistema formativo italiano riesce a fornire a giovani.
L’obbligatorietà dell’alternanza, pur tra le mille difficoltà di organizzazione e i numerosi problemi riscontrati nei primi anni di applicazione, segna senza dubbio un passo avanti del sistema scolastico. Lo stesso rapporto Almadiploma indica dati confortanti sulla soddisfazione dei giovani e sull’utilità delle esperienze effettuate e delle competenze acquisite. Semplificare e razionalizzare il sistema scolastico, aprendolo a un più ampio sistema sociale e produttivo, potrebbe porre i giovani di fronte alle scelte con minore possibilità di “errore”. Solo indicazioni chiare e supportate da scelte di programmazione generale possono portare anche a una diminuzione del fenomeno dei Neet e del dato di disoccupazione giovanile che si mantiene ben sopra il 35% e che costituisce un vero problema sociale.
Un’ultima considerazione. Il 13% degli studenti alla vigilia del diploma secondario superiore non sa che strada intraprendere. Il dato unito a quello importante dei “dropout” universitari che in alcune facoltà raggiungono il 40% fa pensare che anche a livello di scelte successive la confusione nel nostro segmento terziario (università e post diploma) sia decisamente un problema. Non ci sono soluzioni semplici, ma anche qui servono interventi di sistema non influenzati da interessi di parte.