E vabbè, riproviamoci. Sforzandoci per amor di patria di non farci bloccare dal pregiudizio – una riforma meritocratica firmata dalla Madia è come una riforma della dieta firmata da Giuliano Ferrara – e guardiamoci dentro, a questa nuova rivoluzione del pubblico impiego, che dovrebbe ovviamente aggiungere efficienza alla macchina più voluminosa e meno efficiente del Paese. Di novità ce ne sono parecchie, ma quelle di maggior rilievo si riferiscono appunto al tema cruciale dell’efficienza e di una certa perequazione di trattamento che introduca fattori di rigore anche a carico dei “furbetti del cartellino” e dei fannulloni. E qualcosa di buono traspare: anche perché fare peggio sarebbe difficile.
Prima di ogni valutazione di merito va detto che, come già a proposito dell’abolizione dell’articolo 18 con la sua storica protezione contro il licenziamento individuale economico e disciplinare, è all’inefficienza di una supercasta del pubblico impiego, quella dei magistrati, che dobbiamo dir grazie se adesso sembrano essere inevitabili regole più cattive. È all’inefficienza e infingardaggine delle toghe che si deve l’esistenza di una prassi giudiziaria lassista e scombinata, in base alla quale per decenni in Italia è stato impossibile licenziare perfino i ladri colti in flagrante, in base alla quale i detenuti in attesa di giudizio per reati contro lo Stato e scarcerati per scadenza termini non solo venivano riassunti e riammessi allo stipendio, ma ricollocati nelle funzioni statali violando le quali erano finiti in galera, senza che nessun giudice del lavoro riconoscesse mai le ragioni del datore di lavoro, amministrazione pubblica o azienda privata che fosse. Oltretutto, “l’esproprio” di giurisdizione che la magistratura ha subito con il Jobs Act non è stato oggetto della benchè minima protesta da parte della casta dei giudici perché era diventata materia ormai irrilevante per le cronache e per il prestigio e per il progresso delle loro carriere, quindi ben lieti di spogliarsene, proprio loro, così pronti alla mobilitazione appena gli si sfiora una prerogativa… Ma tant’è.
Nella riforma Madia qualche briciola di opportune “strette” disciplinari s’intravede. Ma proprio qualche briciola, mista a vari detriti che creeranno fatalmente pasticci e confusione. Innanzitutto salgono da sei a dieci i casi che possono condurre alla sanzione più grave, il licenziamento: false timbrature, assenze ingiustificate, false dichiarazioni per ottenere promozioni eccetera. C’è sempre il legalese che complica, quando si dice che la violazione dei codici dev’essere “grave e reiterata”, come se potesse essere “non grave” farsi timbrare il cartellino da un collega, magari a Carnevale. Ma fin qui ci sta.
Il nodo è e sarà, operativamente, la questione delle “costanti valutazioni negative”, quelle che annualmente ogni statale riceve da sempre dal suo superiore e che da sempre non sono mai servite a niente. Per licenziarne uno, con la riforma, basteranno tre anni consecutivi di valutazioni negative. Ma chi accerterà che il giudicante sia meritevole? E non sia mosso, magari, da astio, livore, rancore? O che non si accanisca, hai visto mai, contro un subordinato che lo contrasta su un proposito illecito?
Inoltre, ha precisato la ministra, per dare massimo vigore alle sanzioni, loro eventuali “vizi formali” non basteranno ad annullarle se un dipendente avrà sbagliato. E qui c’è un po’ da sorprendersi, perché un “vizio formale” in una procedura così delicata com’è un licenziamento discredita chi la conduce: non sanzionare una simile anomalia è come permettere al vigile urbano che ci mette la multa per divieto di sosta di parcheggiare davanti al passo carraio. Ma non si è sempre detto che la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di ogni sospetto?
Inoltre, che succede se scatta il licenziamento? Come per i privati, succede che il giudice al quale il licenziato si appella potrà al massimo assegnargli un indennizzo ma non il reintegro, e questo indennizzo potrà essere al massimo di 24 mesi. Domandona: ma se un dirigente licenzia un dipendente che poi chiede e ottiene il reintegro, ovvero l’indennizzo, non dovrà – il dirigente – rispondere di danno erariale? Ma certo che dovrà, quindi – è sperabile – si guarderà bene dal licenziare chi non se lo strameriti…Ovvero, non licenzierà nessuno: per non rischiare.
Al di là delle materie contrattuali che la riforma regola, l’ulteriore elemento di moralizzazione potrebbe arrivare dalla concentrazione sull’Inps, e non più sulle Asl, delle visite fiscali: “Dal primo settembre ci sarà un polo unico per le visite fiscali, con le competenze sui controlli che passeranno dalle Asl all’Inps, omologando il settore pubblico a quello privato”. Questo è un bene, sempre ammesso e non concesso che l’Inps abbia le strutture per fronteggiare il nuovo onere operativo: il ministero ha emanato infatti una direttiva che prevede controlli a campione sulle assenze. E i controlli si fanno col personale.