Non accade di rado che la curiosità sia nemica del riposo. È quello che avrei voluto godere martedì sera ma sono stato tradito dallo zapping finendo sul talking show di Giovanni Floris. Floris è un bravo conduttore, di cui tuttavia non si conosce bene l’equidistanza. Non aiuta a misurarla nemmeno la formula che appare evoluta rispetto al format precedente, dove il “parleremo di tante cose” non è più una presentazione ordinata del programma e dei suoi items, bensì un gioco, quasi a sorpresa lasciato alle scelte del conduttore. Lo si capisce più avanti.
Infatti, ora che appare ridotta la “claque” (applausi generati fuori luogo e fuori contesto, ma sempre pronti anche sulla seconda sillaba del discussant prescelto… per farlo apparire manifestamente gradito) e ora che il parterre ospita Massimo Giannini, l’ex competitor dell’ex Ballarò, non ci si dovrebbe più meravigliare di come Floris ami convocare e riconvocare i “soliti noti” (Travaglio ad esempio o Elsa Fornero).
Senonché martedì, complice la presenza di Salvini (che appare sempre più capace di imbonire, miscelando mezze verità a evidenti castronerie, per condurre, laddove egli desidera, astanti e spettatori lontani), è avvenuta una forzatura. Floris l’ha giustificata nel superare lo step salviniano su “migranti uguale meno lavoro agli italiani” come aggravante del “meno lavoro per la permanenza obbligata dalla Legge Fornero”. Quale questa forzatura? La salute economica del Paese poteva trovare riscontro nel quadro delineato dal fenomeno pensionistico in corso e nei suoi addenda, che sono stati illustrati graficamente per arrivare all’ingresso in scena dell’ex ministro Fornero. E qui se ne sono sentite delle belle.
Brevemente è stato mostrato che vitalizi alti in carico a pochi beneficiari, rispetto alla platea pensionata, producono un impegno finanziario relativamente poco rilevante, ma soprattutto pochi risparmi, se tagliati. Tagliare i vitalizi appare dunque una questione più etica e di stile della cosa pubblica (quasi un’operazione immagine) piuttosto che un vero elevato risparmio contabilmente dimostrabile. La domanda ovvia è quindi: i vitalizi si terranno? E la mia più maliziosa è: stanti le premesse, i mancati tagli potrebbero essere una moneta di scambio in una transazione politica prossima futura?
Quando ho sentito Fornero avallare l’equità e subito dopo riconoscere che tagliare quello che, contabilmente, è di poco peso, mi è tornato in mente quanto le scrissi il giorno successivo alla sua nomina: 1) capovolgere la piramide (comunque da riformare iniziando dal vertice dei pensionati d’oro e categorie collegate, per applicare un’aliquota fiscale differenziata ad acta, capace di riequilibrare il mal tolto, cioè quanto eccedeva la pubblica decenza, a partire dalle pensioni di presidenti e amministratori delegati di enti e aziende come Alitalia); 2) stabilire una working area per gli esodati (problema aperto su Sacconi suo predecessore, pending la legge delega sulle pensioni), fenomeno che lei conosceva bene per essere, prima della nomina, vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo; 3) stabilire un timing d’introduzione della riforma che con gradualità potesse creare un passaggio soft nell’arco di un biennio. Cosa sia accaduto lo sappiamo. In fondo questo è quello che utilizza Salvini sfruttando una retorica di buon senso comune, per puntellare la sua quota contributi 40/41, che per carità chi non la gradirebbe?
Grande performance dialettica, in studio, di un altro tra i migliori writer de IlSussidiario. Giuliano Cazzola. Dati alla mano ha ribattuto alle “tesi da bar dello sport” per arrivare a esplodere su risposte capziose, coinvolgendo in questo anche Floris. Qui si è manifestato il secondo dubbio, una sorta di campanellino di allarme inconscio, come se Cazzola avesse catturato nella geometria costruita da Floris qualcosa che mi era sfuggito.
E infatti era così, ma tutto si è chiarito quando Elsa Fornero ha ripreso, sull’assist di Floris, la conclusione che era apparsa chiara alla fine della presentazione grafica del quadro, critico, sul fenomeno pensioni. Pensioni basse sparse su una platea elevatissima (i dati su quanto pesino in termini di spesa sono noti) rappresentano un problema di grande attenzione contabile, ma soprattutto di equità, per la coesistenza, nel sistema contributivo, tanto di un’elevata domanda di flessibilità, quanto di quella traslazione generazionale di risorse destinate al mantenimento degli attuali e non dei futuri pensionati.
Lascio da parte la storia inverata di quali e quante siano le “pensioni” definite tali dai media, e contabilmente non diversamente dichiarate nonostante un passaggio di risorse che pur attestando l’equilibrio previdenziale, vanno a finanziare la voragine assistenziale, dove il “termine pensioni” è ampiamente abusato. Già esiste il facile gioco boeriano, al quale, peraltro, la maggioranza dei colleghi professori del presidente Inps (in università, fondazioni e think tank o meno) non si sottrae con un controcanto, per dividere la vera previdenza, dall’assistenza, lanciando anatemi sul rapporto spesa previdenziale/Pil, con implicazioni contabili di bilancio che si riflettono ovunque fino in Istat, Ocse ed Eurostat, trovando faticoso far partire una riforma proprio da qui. Il resto, a parlarne con i dati, come fa giustamente Giuliano Cazzola, diventa poco gradito ed è solo un “bla bla”.
Tuttavia è vero che esiste un problema, ma non è vero che le cause e le soluzioni sono quelle delineate da Elsa Fornero che, a tal proposito, ha fatto una pessima lezione di economia. Questo, al netto del riconoscimento dovutole per il passo coraggioso, ma azzardato nei tempi, e da lei giustificato a causa dell’impellenza spinta dai mercati e dallo spread. Analogo riconoscimento alla sua ammissione di errori con successiva cognizione di porvi mano a partire dalla flessibilità.
Qui ha avuto inizio l’esposizione a tutto tondo dell’ex ministro che ha lanciato il “nuovo corso”, allineandosi a Boeri e company e rivoltando il profilo di flessibilità più volte dichiarato e richiamato negli ultimi due anni in varie trasmissioni, compresa questa (allineata peraltro a quello di Riformare la Riforma cui ha dato atto).
Occorre fare molta attenzione. Salvini dice non si può restare oltre gli anta che garantiscono 40/41 anni di contributi, Cazzola inizia a citare con dati, interrotto da Floris, gli effetti della variegata flessibilità esistente. Sottolineo che in Ue, Ocse e Fmi si distingue tra pensione anticipata e flessibilità pensionistica, come si distingue tra previdenza e assistenza. Riformare la Riforma delle pensioni ha introdotto l’equivalenza resa possibile dalla struttura contributiva volontaria a soglie (elemento ripreso dai 5 Stelle per il loro programma previdenziale, inserito sulla piattaforma Rousseau e votato on line) con il trade off: di una probabilmente diversa composizione del risparmio previdenziale da quella attuale.
Motivo ripreso timidamente, con Rita, dal professor Nannicini, creatore ed estensore dell’Ape, dove quella sociale e quella per i precoci sono a leva più assistenziale che previdenziale a differenza di quella volontaria, che definii complicata e difficile da far volare…Tant’è. Il passo lungo nella riforma pensioni della Fornero che spiazza tutti è ricomporre un concetto di equità con quello di flessibilità. In poche parole la flessibilità e la pensione anticipata con contributi attesi insufficienti rispetto alle durate di versamento imposte dall’aspettativa di vita, andrebbero “finanziate” grazie al risparmio ottenibile dal ricalcolo delle pensioni percepite con il metodo retributivo.
È la “generosità immotivata” di questo sistema, e non altro, la leva d’iniquità presente nella previdenza. Prescindo dal commentare una simile affermazione fatta da un discussant con una reputation anche internazionale di rilievo e ovunque riconosciuta, se non altro perché lo studio di fenomeni economici (come insegnava a suo tempo Giuseppe Palomba), non può prescindere dal “resto” che li ha determinati. Tanto più se da questo studio tracima un giudizio con implicazioni politiche e sociali. Ma c’è di più. Sic stantibus la professoressa Fornero prende atto, senza null’altro che finire per favorirla, di un’immobilità sostanziale del reddito disponibile con una palude della domanda di consumo e d’investimenti a fronte di un alto risparmio attuale delle famiglie. Così l’impulso al sistema produttivo, indebolito da una pluriennale crisi, non viene trasmesso e si rischia, per aspettative precauzionali e/o negative, di rallentare movimenti piccoli ma esistenti di ripresa, confermando la mancanza di strade. Quelle di cui un paese bloccato può fare a meno.
Fornero come Salvini, come Boeri risultano così apparentemente distanti, mentre invece sono allineati nella ricerca e realizzazione di equità a usare leve, a me personalmente poco gradite. Vorrei essere un “cattivo profeta/previsore” e scoprire che non c’è nessuna partita di scambio nell’assicurare il mantenimento di vitalizi e similari, stante il loro peso piccolo e solo “segnaletico”. Sarebbe una decisa inversione di tendenza, per ottenere nelle sedi parlamentari il via libera alla riconversione contributiva totale della logica pensionistica boeriana, peraltro già dimostrata fallace. Ma si sa come “possono andare le cose in politica”. Non per nulla Fornero ha concluso con l’augurio che tutto ciò avvenga, ma non avverrà con questo governo, forse quanto meno con il prossimo, ma più in là chissà!
Bisognerà dunque vedere che governo ci sarà e da quale legge elettorale verrà determinato, ma questa è un’altra storia, forse prossima, forse oggetto di qualcosa di nuovo…