Pensioni/ E Inps dimenticati da Boeri
Pensioni. Tito Boeri è pronto a tagliare privilegi riservati ai sindacalisti. Ma, dice GERARDO LARGHI, sembra dimenticare i compiti che avrebbe come Presidente dell’Inps

Lo storico ha la fortunata posizione di chi può sempre paragonare ciò che avviene oggi con quel che è accaduto ieri. L’economista invece è colui che guarda al futuro emanando profezie, che di norma, puntualmente, come qualsiasi altra profezia, non si realizzano quasi mai. Ma egli lo fa confidando sulla smemoratezza delle persone, così da poter emettere ulteriori nuove previsioni. Insomma, teneri e moderni maghi Merlino, gli economisti non smettono mai di oracolare. Siccome però la realtà va in direzione opposta rispetto a quella che loro si attendono, allora essi osano fare il passo successivo e, al grido di “chi fa da sé fa per tre”, si mettono alla testa di enti e aziende impegnandosi a dimostrare che non sono sbagliate le teorie, ma è la realtà che testardamente equivoca. Così è stato per le Ferrovie dello Stato, per Alitalia, per tante imprese pubbliche e semi pubbliche. Così è per l’Inps, alla cui testa opera da anni il buon Tito Boeri.
Studioso noto soprattutto per i suoi articoli sui quotidiani, Boeri si assunse il compito di cambiare l’Inps, di renderlo moderno, di adeguarne strutture e conti al mondo che cambia. Ovviamente tra profluvi di proclami curiosamente simili a “grida” manzoniane e progetti tanto linguisticamente innovativi quanto lenti a realizzarsi nella pratica, la solita, testarda, realtà, non ha voluto saperne di prendere atto che l’Inps boeriana era diversa dalle altre. Sedi chiuse, uffici sempre meno disponibili nei confronti del pubblico, utenti sollecitati a comunicare solo via mail, tranne poi rendersi conto che la tipologia di pubblico che si rivolge all’Inps non è esattamente (e purtroppamente, direbbe Cetto Laqualunque) composto di ventenni multitasking e hypersocial. Proteste, reclami, scontri sempre più duri con il Governo, addirittura c’è chi parla di una rottura anche personale tra il novello “ingenioso hidalgo Don Quijote dela Mancha” e il Ministro Poletti.
Cosa restava dunque da fare? Identificare un bel nemico, di quelli che raccolgono il dissenso di tutti, e costruirci sopra una campagna mediatica. Per sua fortuna qui la realtà gliene ha fornito uno vero, di quelli che se non ci fossero sarebbero da inventare, e cioè i sindacalisti. Perché, si deve essere detto Boeri, i politici non si possono toccare, decidono da soli, ma i sindacalisti no: non solo dipendono dall’Inps, ma nella classifica dei più detestati pare che occupino posizioni assai poco gratificanti. Così, Tito nostro, usando abilmente dei media su cui scriveva, si è lanciato in una battaglia personale o quasi tesa ad abolire qualunque norma potrebbe assomigliare a un favore fatto ai sindacalisti. I quali, per la verità, in passato non sono certo stati fermi e qualche furbata se la sono concessa.
Ma non di questa guerra, a dire il vero più mediatica che seria e attenta al futuro, si vorrebbe qui riflettere, quanto del destino di un Istituto che da troppo tempo sembra aver perso la propria vocazione sociale per trasformarsi o nel trampolino di lancio dei dirigenti di turno verso altre destinazioni, o nel laboratorio privato a disposizione di ogni apprendista stregone. Un esempio? “Titino nostro”, dopo aver lanciato, tempo fa, la sua personale proposta di Riforma delle Pensioni (ma non tocca al Parlamento, almeno secondo la Costituzione, discutere e approvare le leggi?), ed essersela vista affossare, ha attaccato poi le pensioni d’oro, alcune integrazioni delle pensioni minime e alcune prestazioni previdenziali, spiegando che così si sarebbe potuto finanziare il reddito minimo per tutti gli over 55 e consentire i prepensionamenti con il nuovo metodo di calcolo contributivo.
Ottima idea: tagliare gli sprechi e i privilegi per dare a chi ha meno. Una roba che pare uscire dal Vangelo o finanche dalle pagine di Repubblica! Se non fosse che qualcuno ha poi preso carta e pallottoliere e si è accorto che hai ben di che tagliare, risparmiare, de-aurizzare le pensioni d’oro, ma alla fine i conti non tornano, perché quel che recuperi non copre se non una minima parte di quel che vuoi finanziare. Quindi niente riforma, niente assegni, se prima non si trovano i fondi, o in presenza di coperture certe e senza tagliare troppo le prestazioni assistenziali e gli assegni di chi sceglie di andare in pensione prima.
Il tema allora andrà posto in modo nuovo e diverso: bene i tagli boeriani contro privilegi e vitalizi non dovuti, anche e soprattutto se questi riguardano furbate sindacalesi, ma insieme (non prima, non dopo, ma appunto insieme), Boeri renda conto dei disguidi in cui naviga l’Inps, delle difficoltà che oggi solo la buona volontà del personale consente di superare, della distanza sempre crescente tra l’Ente, pubblico e non privato personale, che egli guida e la gente, gli utenti, coloro cioè che lavorando e versando mensilmente ne finanziano la vita.
Insieme vorremmo vedere maggior attenzione verso le pensioni per i giovani: perché se qualcuno è andato in pensione con 15 anni 6 mesi e un giorno e qualcuno ci va con assegni perfino superiori all’ultimo stipendio, altri, i più deboli, ci andranno con frazioni così basse da sfiorare la miseria. Nel prossimo decennio, e comunque entro il 2030, le pensioni scenderanno verso il 46% dell’ultimo stipendio, e alla pensione si accederà dopo i 70 anni di età. Vorremmo vedere, ripetiamo, insieme ai tagli di quegli sprechi che riguardano alcune centinaia (non migliaia, non milioni!) di persone, una sua pervicace azione tesa a far decollare la previdenza complementare, a renderla obbligatoria. E se qualche idea buona c’è stata, le mitiche buste arancioni, per esempio, vorremmo tanto che non fossero consegnate dalla “Lumache Transport srl” o dalla “Tartarughe Unite Distribuzione”, ma che celermente e prontamente ognuno la ricevesse, insieme magari a un appuntamento con l’Inps stessa per una riflessione e un consiglio e una spiegazione.
Bene quindi i tagli, ridiciamolo per essere chiari, di quei cosiddetti “diritti” che però non valgono per tutti e chi quindi assomigliano dannatamente a privilegi, tanto più perché il loro conto ricade sulle spalle di tutti; ottimi, inoltre, gli interventi sui privilegi acquisiti, che per di più spesso saranno pagati con tasse più alte e pensioni più basse; ma il problema oggi urgente è quello di dare risposte a quei trentenni e quarantenni che oggi prendono 1.500 euro in busta paga e domani, settantenni, avranno a disposizione 600 euro di pensione. A quando quindi una battaglia boeriana in favore delle pensioni complementari? A quando la dichiarazione, che vorremmo “roboante e gagliarda”, per una separazione dei conti Inps tra assistenza e previdenza? A quando un’Inps davvero al servizio della gente e non invece pensata sul modello del “salotto con vista sui tetti romani”?
Avanti con forza perciò nella lotta contro i tanto detestati da tutti “privilegi sindacalesi”: suggeriremmo, però, sommessamente, a Boeri, se si volesse togliere di dosso la fastidiosa immagine del nobile hidalgo di Cervantes, di lanciarsi insieme anche in una guerra contro i furbetti che non pagano i contributi pensionistici, contro coloro che vanno in pensione presto per continuare poi a lavorare in nero, quelli che si fanno pagare con i buoni pasto o i rimborsi chilometrici. Così, con una vera lotta contro il sommerso e il nero, gli garantiamo che potrà trovare quei soldi che mancano ancora per dare un aiuto più forte ai veri poveri.
Perché noi non saremo economisti, ma siamo certamente appassionati di storia…
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