Sono anche io fra coloro che, qualche mese fa, si è trovato spiazzato di fronte alla prospettiva del referendum che avrebbe espunto la disciplina del lavoro accessorio; e – quando poi il Governo, con il decreto n. 25 nel marzo scorso, ha abrogato la normativa – mi sono trovato in concreta difficoltà a trovare uno strumento per remunerare la babysitter cui, di tanto in tanto, mi trovo a ricorrere; o la signora cui, alla bisogna, chiedo di venire a fare qualche ora di pulizia in casa. Mi confortava però sapere che, fra gli addetti ai lavori, era diffusa l’opinione che i cosiddetti buoni, cacciati dalla porta (non proprio spontaneamente, ma proprio per scongiurare il referendum, che dal punto di vista politico avrebbe messo una pietra tombale sull’istituto), dal Governo stesso sarebbero stati fatti rientrare dalla finestra, di lì a poco, con nome nuovo e, magari, qualche novità.
Così, puntualmente, è stato, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, lo scorso 23 giugno, della cosiddetta manovra estiva, nella quale è stata inserita un’articolata disposizione recante la disciplina del “libretto di famiglia” – pensato proprio per le esigenze della famiglia, o comunque dei cittadini -e del “contratto di prestazioni occasionali”, destinato all’uso di imprese e pubbliche amministrazioni.
Per entrambi gli strumenti, la procedura di accesso è più farraginosa rispetto ai vecchi “voucher”. Basti pensare che la legge prevede che, per la fase di registrazione sul sito Inps (necessaria per poi accedere al libretto e al contratto), ci si può anche avvalere di un consulente del lavoro o, per le famiglie, di un ente di patronato e non ci si può più rivolgere ai tabaccai, che erano il principale canale di vendita (basti pensare che, nel 2016, i “buoni” venduti in tabaccheria sono stati ben 107.095.377, su un totale di 134.065.536).
Ciò che colpisce a una prima analisi è che – evidentemente per un preciso indirizzo legislativo, coerente con l’obiettivo di arginare l’abuso dell’istituto – la nuova disciplina pare sì adatta per un utilizzo “familiare”, ma che sia poco “appetibile” per le imprese. Ne è un chiaro segno, oltre all’incremento del costo del lavoro del contratto di prestazione occasionale rispetto ai vecchi voucher, la scelta di consentire il ricorso a quest’ultimo in ogni settore produttivo (salvo che in edilizia e le limitazioni in agricoltura), ma, come si vedrà, alle sole piccole imprese; e di permetterlo davvero in via occasionale. In effetti, se nell’impianto della legge Biagi e delle successive modifiche l’occasionalità era rappresentata dalla sola circostanza che il prestatore di lavoro vi conseguiva un reddito annuo limitato, in base all’attuale disciplina l’occasionalità sta anche nel fatto che l’utilizzatore non può farvi che un limitato ricorso, non potendo superare – complessivamente – il limite di spesa di euro 5.000 annui.
Il “Libretto Famiglia” è un vero e proprio libretto nominativo pre-finanziato che il cittadino può acquistare tramite il sito Inps (oppure presso gli uffici postali). Con esso è possibile pagare le prestazioni occasionali rese nell’ambito di piccoli lavori domestici (compresi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione), assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità, insegnamento privato supplementare. Il costo ammonta a 10 euro, di cui 8 per il prestatore; 1,65 euro costituiscono la contribuzione alla Gestione separata Inps; 0,25 euro il premio Inail; 10 centesimi sono destinati al finanziamento degli oneri gestionali.
Il contratto di prestazione occasionale – destinato all’uso da parte delle imprese e delle pubbliche amministrazioni – deve essere attivato anticipando, sempre attraverso la “piattaforma informatica Inps”, le somme utilizzabili per compensare le prestazioni. L’utilizzatore, nel caso in cui la prestazione lavorativa non abbia poi luogo, dovrà comunicare – entro i tre giorni successivi al giorno programmato di svolgimento della prestazione – la “revoca” della dichiarazione. Il costo minimo per le aziende – rispetto ai vecchi voucher – è decisamente più elevato (12 euro, oltre agli oneri di gestione, di cui 9 vanno al lavoratore, salva la possibilità che le parti pattuiscano un compenso orario superiore); inoltre, la prestazione non può essere inferiore alla misura minima fissata per la remunerazione di quattro ore lavorative, anche qualora la durata effettiva della prestazione lavorativa giornaliera sia inferiore a quattro ore.
Sia per il “libretto famiglia” che per il “contratto di prestazione occasionale”, la legge stabilisce i seguenti limiti (alcuni dei quali possono essere innalzati per talune categorie di lavoratori): a) per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, i compensi netti non potranno essere superiori, nell’anno civile, a 5.000 euro; b) per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, i compensi netti non potranno essere superiori, nell’anno civile, a 5.000 euro; c) per il prestatore, con riferimento al medesimo utilizzatore, i compensi netti non potranno essere superiori, nell’ambito dell’anno civile, a 2.500 euro. In ogni caso, la prestazione non potrà avere durata superiore a 280 ore nell’arco dello stesso anno civile.
Ulteriori limiti sono stabiliti con esclusivo riferimento al contratto di prestazione occasionale: a) da parte degli utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato; b) da parte delle imprese del settore agricolo, salvo che per le attività lavorative rese dai soggetti particolari; c) da parte delle imprese dell’edilizia e di settori affini; d) nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi. Ulteriori limiti sono poi stabiliti per il caso in cui l’utilizzatore sia una pubblica amministrazione.
La procedura è ormai operativa da qualche giorno e non sorprende che l’Inps abbia già diramato una circolare, oltre che per spiegare le modalità operative di utilizzo, per avvertire che, in sintonia con l’Ispettorato del Lavoro, il contratto di prestazione occasionale sarà oggetto di “particolare attenzione”. Ciò con speciale riferimento ai casi in cui si evidenzi una certa frequenza di “revoca” delle comunicazioni di prestazioni inserite in procedura: a fronte di una prestazione di lavoro che risulti effettivamente svolta, l’avvenuta revoca della dichiarazione preventiva da parte dell’utilizzatore determina l’applicazione delle sanzioni in materia di lavoro nero.
La sensazione complessiva è che se già prima dell’abrogazione del vecchio lavoro accessorio il problema, concretamente, investiva un numero di lavoratori tutto sommato modesto, sebbene in crescita (nel 2016 il numero di lavoratori pagati con i voucher è stato 1.765.810 e solo il 3,5% dei buoni è stato utilizzato nei lavori domestici), per il futuro il ricorso al libretto di famiglia e al contratto di prestazione occasionale sembra destinato a essere davvero residuale. Eppure,contro quelli che parte del sindacato ha definito i “nuovi voucher”, ci sono già state manifestazioni di piazza e minacce di ricorsi.