Chi conosce la saga di Harry Potter sa che il binario 9 e ¾ è un binario nascosto della stazione di King’s Cross dal quale parte il treno per la splendida scuola di magia di Hogwarts. Solo i “maghetti” e le loro famiglie sanno del binario e possono raggiungere l’ambita meta, preclusa a chi non ha “poteri magici”. Una sorta di “binario 9 e ¾” esiste anche in materia di licenziamenti e fortunatamente non occorre la magia per trovarlo. Vediamo di che si tratta.
Com’è noto, la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si applica solo ai dipendenti delle aziende medio grandi. Ai dipendenti assunti da un’azienda con meno di 15 dipendenti prima del 7/03/2015 (data di entrata in vigore del cosiddetto contratto a tutele crescenti, disciplinato dal D.Lvo n. 23/2015) si applicano invece le disposizioni contenute nella legge n. 604/1966. Quest’ultima, in caso di accertata illegittimità del licenziamento (perché non ricorrono né gli estremi della giusta causa, né gli estremi del giustificato motivo), stabilisce che il datore di lavoro è tenuto “solo” a risarcire il danno patito dal lavoratore “versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto” (art. 8 della L. n 604/1966). Quindi: niente reintegrazione, ma solo un (modesto) risarcimento in danaro.
Vi sono però delle eccezioni. Una di queste scaturisce dall’art. 2 della richiamata legge n. 604/1966, che prevede: “1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. 2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. 3. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace“. Dunque: se la lettera di licenziamento non contiene l’indicazione specifica dei motivi che lo hanno determinato, il recesso dell’azienda è “inefficace”. E siccome il licenziamento non produce effetto, il lavoratore ha diritto a riprendere il suo lavoro.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ripetutamente osservato che “la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento“, con la conseguenza che si deve “ritenere equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi la comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia talmente inidonea ad assolvere il fine cui la norma tende, senza nulla aggiungere circa la ragione della scelta di sopprimere specificamente il posto di lavoro“ cui era addetto il lavoratore. In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore giustificato da un generico richiamo a una “diminuzione dell’attività lavorativa” (Cass. 26.6.2017 n. 15877). Come si vede, non c’è bisogno di nessuna “magia” per ottenere la reintegrazione, basta conoscere e applicare la legge.
Nel solco tracciato dalla Corte Suprema si è posta, da ultimo, anche una sentenza del Tribunale di Latina dell’8/02/2018, che ha ritenuto “inefficace” un licenziamento motivato nei seguenti termini: “considerata la grave crisi economica che investe la scrivente società siamo spiacenti di doverLe comunicare il suo licenziamento per riduzione del personale. Pertanto alla data odierna il rapporto di lavoro intercorrente tra noi deve intendersi risolto a tutti gli effetti di legge e di contratto“. Il Tribunale ha osservato come “il generico richiamo alla “grave crisi economica che investe la scrivente società” non assolva minimamente all’obbligo di cui sopra, risultando una motivazione priva di alcun contenuto specifico che permetta al lavoratore di comprendere le obiettive ragioni (di carattere economico-organizzativo) che hanno comportato la decisione di sopprimere la sua unità lavorativa“. Stante quanto precede, il Tribunale ha quindi condannato l’azienda a ripristinare il rapporto di lavoro, riammettendo in servizio il dipendente.
Circa le conseguenze dell’inefficacia del licenziamento c’è però un piccolo “nota bene” finale da segnalare. La reintegrazione ex art. 18 Stat. Lav. comporta sempre anche la condanna dell’Azienda al pagamento in favore del lavoratore delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegrazione, ma quella regola non opera in caso di inefficacia del licenziamento ex art. 2 L. n. 604/1966. Il lavoratore illegittimamente licenziato da una piccola azienda ha diritto alla retribuzione maturata “solo” “dalla data di messa in mora“, ovvero dalla data in cui il datore di lavoro ha ricevuto la lettera di impugnazione del licenziamento. E ciò perché, in questo caso, il risarcimento del danno è da determinarsi secondo le regole stabilite in materia di inadempimento delle obbligazioni (cfr. artt. 1219-1224 c.c.). Si tratta di una piccola differenza (il licenziamento deve essere impugnato entro 60 giorni dalla ricezione), ma è giustificata dalla assenza di magia.