Durante la campagna elettorale appena conclusa, i principali protagonisti e competitor politici hanno preferito non affrontare in maniera organica le problematiche che vive il nostro Paese. È quindi ancora più importante ora riflettere su alcuni spunti per la prossima legislatura. Uno dei cantieri che dovrà essere riaperto sarà quello della Giustizia. Non lo si dovrà fare pensando esclusivamente ai processi penali o alle intercettazioni, bensì cercando di affrontare tanti aspetti che incidono inevitabilmente nell’amministrazione della Giustizia.
Uno di questi è sicuramente l’accesso alle professioni e in particolare alla professione forense. L’argomento tra l’altro è stato oggetto di un mio recente scritto dal titolo “Un esame da riformare” edito da Falco Editore nel quale affronto una delle questioni che riguardano più da vicino i tanti studenti di giurisprudenza nonché gli aspiranti avvocati che si accingono ogni anno ad affrontare l’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense. Un ragionamento, quello che deve essere sviluppato, che muove le premesse dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale del diritto comunitario che tende a equiparare i professionisti e le imprese.
Viste le ultime tendenze legislative nonché la costante giurisprudenza comunitaria, le differenze tra le due categorie si assottigliano sempre di più, fino a divenire quasi impercettibili. Il nostro Paese, al contrario, è stato costruito sulla peculiarità delle professioni che presupponeva l’esistenza di ordini e albi cui attribuire poteri e compiti che garantissero la professionalità specifica a tutela del cittadino-utente. Nel testo non manca il riferimento a dati e numeri statistici che agevolano la comprensione di un fenomeno che non interessa soltanto gli addetti ai lavori.
Si cerca di allargare l’orizzonte con uno sguardo rivolto anche nei confronti di altre professioni, illustrando brevemente il percorso da seguire per l’esercizio delle stesse. Una riflessione che si arricchisce con la descrizione delle ultime riforme legislative che hanno interessato la professione negli ultimi anni, con uno sguardo ai percorsi negli altri Paesi europei di civil law. Tale aspetto rientra nel più ampio dibattito sulla selezione della classe dirigente del nostro Paese di cui opinionisti e decisori pubblici discutono ormai da tempo.
A mio avviso, infatti, ritorna con centralità il delicato rapporto tra i professionisti e il principio di concorrenza, che ha da sempre determinato il sorgere di un animato dibattito nel nostro Paese. Sullo sfondo, la necessità di istituire in Italia le “cliniche del diritto” così come sostenuto dal Prof. Carnelutti negli anni ’50, ovvero di realizzare un percorso che allo stesso tempo agevoli i giovani nella conoscenza del diritto nonché nell’ingresso nel mondo del lavoro.
Con l’espressione “cliniche del diritto”, Carnelutti intendeva porre sullo stesso piano gli studi giuridici e gli studi di medicina. Egli affermava che così come uno studente di medicina dopo lo svolgimento di alcuni esami aveva la possibilità di recarsi nelle cliniche e vedere da vicino e in maniera pratica ciò che aveva studiato in via teorica, lo stesso doveva accadere per gli studenti di giurisprudenza. Questi, infatti, dovevano sperimentare nei luoghi viventi gli istituti di diritto processuale e sostanziale che avevano approfondito sui banchi universitari. L’espressione “clinica del diritto” assume così il significato di una maggiore collaborazione tra mondo accademico, ordini professionali e Tribunali per favorire una comprensione più approfondita in favore degli studenti e per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro.
Vi sono a tal proposito alcune Università che dal basso hanno iniziato una proficua collaborazione con Ordini professionali al fine di favorire la transizione scuola-lavoro dei laureati affinché dopo la conclusione del percorso accademico non siano abbandonati a se stessi. Molto ancora deve essere realizzato con l’auspicio che con l’inizio della nuova legislatura si possa riprendere in mano il cammino interrotto per ridare fiducia all’intero Paese.