Se un tempo erano i governi gli unici soggetti in grado di determinare l’andamento della politica internazionale di uno Stato, oggi molti nuovi attori si sono imposti in questo ruolo. Le aziende, ad esempio, possono ormai pesare, in termini economici e di impatto politico, più di interi Stati. Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo e Direttore dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, grazie alla sua esperienza in questo campo ci ha permesso di comprendere meglio queste dinamiche, con un occhio di riguardo verso i giovani che desiderano intraprendere la carriera internazionale.
Cos’è l’Ispi?
L’Ispi è un Istituto di Politica Internazionale che quest’anno compie 85 anni. È nato durante il fascismo grazie a Pirelli, il quale desiderava creare un Istituto indipendente, per quello che poteva considerarsi tale in quel periodo, che aiutasse le imprese a guardare ai mercati esteri e alle trasformazioni in corso nel mondo. Col tempo questa attività di analisi è stata integrata con quella di formazione per le carriere internazionali e, in modo molto significativo negli ultimi anni, con quella di disseminazione, ovvero la creazione di momenti di incontro e dibattito per parlare di temi relativi alla politica internazionale. Il tutto sempre con un’attenzione particolare, anche se non esclusiva, all’impatto sul mondo delle imprese.
Le figure politiche che hanno il compito di comunicare a livello internazionale vengono formate per questo ruolo?
Devo dire che ormai, al giorno d’oggi, assistiamo a numerose improvvisazioni in questo campo, diversamente dalla formazione che occorreva intraprendere in passato. Per entrare in Commissione Affari Esteri, ad esempio, si passava attraverso esperienze parlamentari e scuole di partito prima di riuscire effettivamente a entrare in Commissione e, successivamente a diventare eventualmente Sottosegretario e poi Ministro. Oggi non c’è più quel mondo. Inoltre, è importante sapere che la politica internazionale si basa sulle relazioni ed è facile immaginare come sia molto più vantaggioso strategicamente presentarsi a un tavolo internazionale con un Ministro degli Esteri dall’esperienza ventennale piuttosto che con qualcuno di diverso ogni anno, in quanto è certo che il primo conosca già tutti i suoi interlocutori e i desideri che avanzeranno, mentre al secondo occorreranno tempi di inserimento più lunghi. Si aggiunge poi la questione della fiducia: nei negoziati è fondamentale la credibilità personale, la reputazione che un rappresentante ha nel rispettare le condizioni concordate. E la lealtà viene data a persone che si conoscono.
Quali passaggi deve affrontare un giovane desideroso di intraprendere la carriera internazionale?
Ci sono innanzitutto delle pre-condizioni a cui attenersi e la conoscenza delle lingue è una di queste. Non è possibile pensare di risultare credibili nella volontà di dedicarsi alla politica internazionale senza investire del tempo, fin dai primi anni di studio, all’apprendimento dell’inglese, indiscutibilmente, e di almeno un’altra lingua. Un ulteriore aspetto fondamentale per la carriera diplomatica è il rigore scolastico: se per la carriera nelle ONG ha più valore l’aspetto manageriale, per un diplomatico è necessario essere molto rigorosi nello studio. Statisticamente chi, al liceo e all’università, non ha ottenuto risultati appartenenti alla fascia alta dei voti, non ha, infatti, possibilità di vincere il concorso.
Quali altre caratteristiche è bene possedere?
Occorre poi avere una forte passione per le questioni internazionali ed essere disposti a cambiare Paese all’occorrenza. Non è inusuale riscontrare questo desiderio nei giovani, che spesso si presentano con esperienze di viaggio notevoli, tuttavia è necessario accertarsi che poi venga mantenuto anche con il passare degli anni: anche a 40 anni, con una famiglia al seguito, bisogna essere sempre disposti a trasferirsi in un Paese sotto emergenza umanitaria, ad esempio, o un Paese dove occorre essere scortati quotidianamente. Per quanto riguarda la carriera non governativa, un altro elemento da considerare è la gestione della precarietà. Tra un contratto e l’altro, possono esserci interi mesi di inattività: occorre avere una struttura psicologica in grado di affrontare anche queste situazioni.
(Luca Brambilla)