Che rapporto c’è stato tra Papa Francesco e le tematiche che ruotano attorno alla sanità ed alla salute? Sarebbe non solo pretenzioso ma soprattutto irrispettoso dell’attenzione che il Papa ha dedicato a questa materia e ai professionisti che la praticano voler tentare di racchiudere nel poco spazio che può essere concesso a questo contributo i tantissimi interventi proposti in diverse occasioni: nelle giornate mondiali del malato, nei messaggi agli operatori sanitari, negli incontri con le associazioni che si occupano di persone fragili o con specifiche patologie, in alcuni passaggi nelle encicliche che ha promulgato, e persino nelle introduzioni a libri come il recente volume del Cardinale Angelo Scola sulla vecchiaia. Mi auguro che qualcuno voglia considerare l’opportunità di raccogliere questo materiale e di proporcene una lettura commentata.
Come contributo personale mi permetto un piccolo tour, un viaggio breve e semplificato attraverso i messaggi (sono 12, dal 2014 al 2025) che Papa Francesco ha inviato per la giornata mondiali del malato (11 febbraio). Istituita nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II questa giornata annuale, che si svolge nel giorno della commemorazione di Nostra Signora di Lourdes, ha visto fin dal suo primo messaggio (2014, XXII giornata: “Fede e carità: Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”) Papa Francesco creare un collegamento diretto ed esplicito tra la persona malata e la sofferenza di Cristo, ricordando che Dio non ha inteso eliminare la sofferenza e la malattia ma che il sacrificio di Cristo, assumendo il dolore e la fatica, esita nella luce pasquale e ci dà il coraggio per affrontarli. Diventa così anche particolarmente significativo che il dies natalis del Pontefice sia accaduto appena dopo la resurrezione di Cristo e che proprio in un testo inedito appena reso noto il Papa stesso abbia scritto che “la morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa, un nuovo inizio”.
La XXIII giornata (2015) è stata dedicata alla “sapienza del cuore”, cioè l’atteggiamento di chi riconoscendo nei fratelli l’immagine di Dio sa aprirsi per accogliere le loro sofferenze e fa in modo che l’esperienza del dolore diventi fonte per rafforzare la sapientia cordis. Il messaggio ha messo l’accento sul servizio ai bisognosi, sul valore dell’accompagnamento, sulla vicinanza ed il conforto, sulla menzogna di chi vuole indurci a credere che la vita affetta da malattie gravi non valga la pena di essere vissuta.
La malattia induce spesso alla ribellione e alla disperazione e mette alla prova la fede perché l’incontro con la sofferenza è sempre misterioso, ma la prova ci può far scoprire il vero senso di quello che si vive: è questo il centro del messaggio della XXIV giornata (2016).
La XXV giornata (2017) riflette sullo “Stupore per quanto Dio compie” e la XXVI (2018) torna al tema della croce e della sofferenza di Cristo (“Ecco tuo figlio … Ecco tua madre”), ed è l’occasione da una parte per ricordare come nella sua storia la Chiesa è sempre stata molto ricca di iniziative capaci di mettere al centro del processo terapeutico la persona umana, e dall’altra per proporre l’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che può accogliere tutti.
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” è il tema scelto per la giornata del malato del 2019 e serve a sottolineare che la cura di chi soffre richiede gesti gratuiti, e che il dono è il paradigma per superare la cultura dello scarto e dell’indifferenza: e il tema del dono è l’occasione sia per valorizzare l’azione dei volontari, così importanti soprattutto nel settore sociosanitario, sia per evidenziare che tale atteggiamento dovrebbe caratterizzare le istituzioni sanitarie cattoliche.
Ed arriviamo al 2020, annus horribilis, ma il messaggio del Papa arriva quando la pandemia non è ancora scoppiata e il Pontefice rimette al centro della sua riflessione Gesù che chiama a sé le persone che soffrono nel corpo e nello spirito per dare loro sollievo e ristoro (“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”). Gesù guarda l’umanità ferita e si offre come misericordia: avendo sperimentato su di sé il dolore i suoi occhi accolgono ogni uomo sofferente senza scartare nessuno. Nell’invito a passare dal curare al prendersi cura Papa Francesco evidenzia la necessità di una guarigione umana integrale che arrivi alle dimensioni “relazionali, intellettive, affettive, spirituali” e che, in fin dei conti, mette in gioco l’amore non solo per chi è malato ma anche per tutti coloro che gli stanno intorno.
In questo messaggio il Papa chiede anche alla Chiesa di farsi casa dove il malato può incontrare persone che, guarite dalle loro fragilità dalla misericordia di Dio, sappiano esprimere familiarità, accoglienza e sollievo, e aiutino a portare la croce di ciascuno. E non solo c’è un impegno rivolto ai cristiani ma c’è anche un invito a tutti gli operatori sanitari perché nella espressione “persona malata” ricordino che il termine “persona” precede sempre il termine “malata”, e che l’agire professionale sia sempre indirizzato alla dignità della persona, alla sua inviolabilità, sia quando va accolta al suo nascere sia quando la malattia segna un percorso irreversibile.
Il pensiero del Papa, che va poi al personale sanitario che lavora nei teatri di guerra, direttamente preso di mira o limitato, anche dal potere politico, nella propria autonomia, si conclude con l’auspicio che tutti possano avere cure adeguate in applicazione ai principi di sussidiarietà e solidarietà.
Coincidenza vuole che proprio l’anno che si è dimostrato più catastrofico per il servizio sanitario del nostro paese sia anche l’anno in cui Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata del malato (divulgato il 3 gennaio quando il Covid non era nemmeno all’orizzonte) ha disseminato il maggior numero di indicazioni e suggerimenti proprio per il servizio sanitario, come se avesse intuito ciò che sarebbe successo più avanti nell’anno.
La XXIX giornata (2021), e non poteva essere diversamente, si rivolge in particolare a coloro che hanno sofferto per via della pandemia da Sars-CoV-2, mette al centro della riflessione l’ipocrisia di chi parla ma non agisce e indica che il fondamento della cura risiede in una relazione di fiducia, in un patto tra chi cura e chi ha bisogno, sull’esempio di Gesù le cui guarigioni sono sempre l’esito di un incontro e di un rapporto. Citando il caso di Giobbe avverte che la sofferenza non è un castigo e che le domande di senso che la malattia tipicamente ci mette di fronte a volte faticano a trovare una risposta e richiedono tempo. Inevitabile, poi, la riflessione sulle inadeguatezze che hanno mostrato i servizi sanitari e invece sul ruolo straordinariamente generoso che va riconosciuto a tutti quelli che si sono fatti carico dei malati e dei loro familiari.
La misericordia è il filo conduttore del messaggio della XXX giornata (2022) e non a caso la visita agli infermi è una delle opere di misericordia più significative. Nel suo messaggio il Papa mette l’accento sul ruolo dei luoghi di cura, pensando soprattutto ai paesi più poveri del pianeta e all’importanza delle strutture sanitarie cattoliche, perché è sempre possibile curare anche quando è assente la prospettiva della guarigione.
Vissuta nella solitudine e nell’abbandono la malattia diventa disumana, per questo occorrono compassione e vicinanza: così la XXXI giornata (2023), che con il suo richiamo all’enciclica “Fratelli tutti” invita a farsi prossimi ed a fare in modo che l’incontro personale con la sofferenza (il buon samaritano) diventi cura organizzata (“abbi cura di lui”).
Il messaggio della penultima giornata del malato (XXXII, 2024) torna al tema della relazione di cura (“Curare il malato curando le relazioni”) e della solitudine e abbandono in cui spesso finisce chi soffre per qualche patologia. Il Papa da una parte lamenta che alcune scelte politiche ostacolano l’accesso alle cure, e dall’altra invita a superare l’attuale approccio che privilegia l’erogazione di prestazioni per passare a una “alleanza terapeutica” tra coloro che si prendono cura del soggetto malato.
Se l’anno 2020 è stato un annus horribilis, al contrario il 2025 avrebbe dovuto essere un annus mirabilis, da vivere nel segno della speranza che sta qualificando il cammino giubilare e che ha segnato anche il messaggio per la XXXIII giornata del malato (“La speranza non delude”), speranza declinata, come abbiamo già scritto, attraverso l’incontro, il dono e la condivisione.
Qualcuno potrà essere disturbato (o magari anche urtato) dall’uso del termine annus mirabilis nel momento in cui abbiamo appena vissuto la morte di Papa Francesco ma, al netto dei sentimenti di naturale tristezza ed umana vicinanza e partecipazione che sta suscitando, se come lui ha da poco scritto “la morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa, un nuovo inizio” allora per Jorge Mario Bergoglio il 2025 è proprio un annus mirabilis.
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