SPILLO/ Il “marchio” che può aiutare la ripresa (ma che l’Italia non ha sostenuto)

- Gianfranco Fabi

Per le prospettive di ripresa nel 2015 sarà importante la conquista dei mercati esteri. Peccato che l'Italia, spiega GIANFRANCO FABI, non abbia sostenuto la normativa "Made In"

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Il 2014 si è chiuso ancora con cifre pesantemente negative sul fronte dell’economia, e purtroppo si è chiuso negativamente anche per quanto riguarda i cambiamenti che avrebbero potuto dare ossigeno e sostanza alle, per fortuna, ancora forti potenzialità di crescita.

Gli elementi di crisi sono molti: si va dalle difficoltà del credito bancario alle incertezze sul fronte delle regole sul mercato del lavoro, dal continuo calo degli investimenti pubblici alla costante crescita della pressione fiscale, dalla persistente stagnazione della domanda interna alle ancora poco incisive politiche di rilancio a livello europeo. 

Di fronte a questa realtà, una delle poche possibilità per invertire la tendenza negativa è quella di agganciare di più e meglio la crescita che, pur con ritmi differenti, continua a manifestarsi a livello globale: per il 2015 a fronte di una crescita europea che, se tutto va bene, resterà sotto l’1%, avremo gli Stati Uniti che potrebbero far registrare un aumento del Pil vicino al 4% e una Cina che dovrebbe confermarsi attorno al 7-8%. Anche i paesi “emergenti”, che nell’anno che si è chiuso hanno mostrato un forte rallentamento, potrebbero contribuire in maniera positiva all’economia mondiale. 

Per l’Italia e per l’Europa, quindi, lo stimolo per riavviare il circolo virtuoso dell’aumento della produzione, dei posti di lavoro, dei redditi, dei consumi può venire quasi esclusivamente dalla possibilità di ampliare la proprie quote di mercato sul fronte internazionale.

Ma è proprio a livello europeo che l’Italia ha mancato una importante occasione: quella di far approvare durante il proprio semestre di presidenza la nuova normativa per il “Made In”, cioè le disposizioni già approvate nella primavera scorsa dal Parlamento di Strasburgo e che si sono fermate su richiesta di Germania e Svezia al momento del varo da parte della Commissione.

È questa un’altra dimostrazione non solo e non tanto delle differenze di struttura economica all’interno dei paesi dell’Unione europea, quanto delle difficoltà politiche di fare di queste differenze un punto di forza che possa essere difeso e valorizzato.

Avviene infatti che la Germania e i paesi nordici abbiano notevolmente delocalizzato le loro produzioni industriali mantenendo all’interno le attività di assemblaggio finale oltre a quelle di ricerca, sviluppo e commercializzazione. Per l’Italia, invece, la delocalizzazione non solo è stata molto più limitata, ma da una parte si è concentrata solo in alcuni settori, come quello calzaturiero, dall’altra è avvenuta soprattutto per realizzare produzioni vicine ai mercati di sbocco.

La valorizzazione del “made in Italy” appare così fondamentale per settori, come quello dei mobili, che hanno difeso la dimensione produttiva italiana: “Attraverso l’etichettatura sull’origine – ha commentato dopo il rinvio europeo il presidente di Federlegno-Arredo, Roberto Snaidero, su Il Sole 24 Ore – noi difendiamo il valore dei manufatti italiani ed europei realizzati secondo criteri di qualità e sicurezza. Paesi come la Germania e la Svezia, che importano da fornitori extra-europei molti componenti destinati ai loro prodotti hanno interessi molto diversi dai nostri”.

Il fattore “made in Italy” non è solo importante a livello di immagine, ma può costituire in moltissime occasioni il più importante fattore di differenza competitiva sui mercati internazionali. Lo dimostra chiaramente il libro curato da Mario Ferraresi, docente di sociologia dei consumi, “Bello, buono e ben fatto”, edito dalla nuova casa editrice Guerininext [] (pagg. 216, euro 23). Un libro in cui si raccolgono non tanto analisi, quanto casi concreti, testimonianze, esperienze personali e aziendali con una logica di fondo: il “made in Italy” non può e non deve essere considerato una rendita di posizione, ma è una dimensione che va affinata, tramandata, sviluppata sfruttando al massimo le potenzialità del marketing e della comunicazione. “È necessario – spiega Ferraresi -che l’innovazione divenga un sistema di pensiero.”

Il titolo del libro ricorda esplicitamente i punti di forza del sistema italiano, un sistema che ha saputo coniugare la tradizione con l’innovazione, la dimensione famigliare con la logica industriale, la creatività con la ricerca. Bello, buono e ben fatto: per fortuna ci sono tante esperienze positive sul fronte italiano che permettono di guardare con fiducia e speranza. Certo, se fossimo riusciti a portare a casa la normativa sul “Made in” sarebbe stato molto meglio.

[1] Guerininext è un nuova casa editrice che nasce, come dice il nome, dall’esperienza (che continua) di Guerini e associati e che è specializzata nel management. nello sviluppo delle risorse umane e nella formazione dei professionisti. 





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