La crisi economica che da sette anni sconvolge, anche se in modo diverso, le economie occidentali ha certamente alla sua base una serie di cause concomitanti che vanno dalle illusioni create dall’ingegneria finanziaria ai cambiamenti profondi della rivoluzione tecnologica, dall’inserimento sempre più forte dei paesi asiatici nell’economia e nella finanza mondiale alla mancanza di adeguate riforme strutturali nei mercati.
Uno dei fattori che viene regolarmente messo in secondo piano è tuttavia quello demografico: è la caduta della domanda derivante dal calo continuo delle nascite e dalla modifica della composizione della popolazione con il prevalere sempre più forte delle classi di età più anziane (con un allungamento certamente positivo della vita media, ma con una diminuzione quantitativa dei consumi).
Le ragioni di questa rimozione intellettuale sono di vario tipo. Da una parte, se è facile presentare ricette per affrontare dimensioni congiunturali è estremamente difficile andare alla radice di cambiamenti strutturali. D’altra altra, il fattore demografico, pur rappresentando un fenomeno sociale, costituisce in fondo l’espressione di scelte strettamente individuali sulle quali sembra difficile, o magari poco elegante, far leva. C’è poi un’asimmetria culturale che appare fuorviante: il pensare che il crollo demografico sia semplicemente un effetto della crisi economica e non una delle cause principali che l’hanno provocata.
Per esempio, il “Rapporto sulla popolazione: l’Italia nella crisi economica” curato dall’Associazione italiana per gli studi di popolazione (Il Mulino, pagg. 180, euro 15), un volume ricco di dati, analisi e approfondimenti tuttavia lascia in secondo piano il fatto che quello tra crisi economica e andamento demografico è un rapporto che si colloca all’interno di un circolo vizioso in cui i due elementi si influenzano a vicenda.
Il dato di fondo da cui partire è il fatto che mentre la crisi economica è una realtà esplosa negli ultimi anni, il calo demografico è un fenomeno che si è sviluppato nell’arco di tutti gli ultimi quarant’anni. Come afferma lo stesso rapporto, in Italia è avvenuto “un lungo e intenso declino delle nascite che in trent’anni ha portato il tasso di fecondità totale al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995” con una leggera ripresa negli anni successivi, “dovuto in larga misura al crescente contributo delle donne straniere”. La ripresa sembra comunque essersi arrestata ed è iniziata negli ultimi anni una tendenza di nuovo al declino.
Ma al di là di queste variazioni c’è un dato che parla da solo. Nel 2013 i bambini iscritti in anagrafe per nascita sono stati 514mila, non solo 62mila in meno rispetto al 2008, ma soprattutto la metà dei nati nel 1965. In questi ultimi cinquant’anni si è anche alzata l’età dei matrimoni (che peraltro sono progressivamente diminuiti), è cresciuta l’età in cui le donne hanno il primo figlio, è diminuito il numero di figli per famiglia.
Ce n’è abbastanza per sostenere che il calo demografico è ben precedente alla crisi economica. Che poi la crisi abbia accentuato le difficoltà delle famiglie, la ricerca di un’occupazione dei giovani, la possibilità di trovare un alloggio, è certamente vero e tutto ciò costituisce un elemento che rende ancora più difficile affrontare questo problema.
La demografia è un fatto privato con enormi conseguenze pubbliche. In Italia c’è un potenziale di crescita demografica molto forte e le difficoltà economiche costituiscono un elemento che frena la volontà dei giovani di creare nuove famiglie e di avere figli. Con una tendenza che sarà ancora più forte nei prossimi anni perché, come spiega il rapporto, si sta concludendo il periodo in cui potevano avere un figlio le classi di donne nate nel periodo del baby boom, appunto cinquant’anni fa. Ci saranno quindi sempre meno donne in età feconda e oltre a ciò “il comportamento riproduttivo delle generazioni più giovani è caratterizzato dalla continua posticipazione della transizione verso la genitorialità, dalla tendenza alla diminuzione del numero finale dei figli e dall’aumento delle donne senza figli”.
Siamo di fronte a una società che rischia concretamente di avvitarsi su se stessa e di procedere a grandi passi verso l’estinzione. E a quel punto sarà anche inutile discutere se il crollo demografico è una causa o un effetto della crisi economica.