La foto di Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz in treno verso Kiev non era molto più veritiera di quella di tre anni fa, quando nel vagone piombato diretto verso l’Ucraina non c’era il premier britannico (al suo posto c’era l’italiano Mario Draghi) e il tedesco era il socialdemocratico Olaf Scholz. Non era credibile la Ue di allora, per nulla autonoma nel suo allineamento con la Nato al traino degli Usa dem, e non lo sono i Volenterosi di oggi, già divisi fra un presidente francese – sempre più euro-Don Chisciotte contro Vladimir Putin –, un premier britannico presto arresosi ai dazi dell’anti-Ue Donald Trump, e un cancelliere tedesco semi-azzoppato sul nascere dal Parlamento neoeletto.
La foto dei tre è comunque passata alle cronache per il fake riguardo al presunto uso di cocaina da parte di Macron. Sospetto in sé ridicolo, ma significativo della bassa nomea politico-mediatica che ormai circonda l’Eliseo (dieci giorni fa il frenetico presidente si era fatto fotografare in una trattoria romana mentre discuteva con Andrea Riccardi del conclave in arrivo, sul quale l’influenza dell’uno come dell’altro è poi risultata nulla).
Ieri sera Macron è tornato, dopo molto girovagare, a calcare la scena per lui più difficile: quella di casa. In un lungo talk televisivo su Tf1 era atteso al varco dall’intera opinione pubblica nazionale: dal precarissimo governo “non più macroniano” di centrodestra, dal Parlamento fratturato, dall’insofferenza trasversale dei media. Fra tre settimane sarà passato un anno dalla domenica dell’eurovoto 2024, drammatica per il presidente, che vide dimezzare il sostegno al suo “fronte”.
A urne ancora aperte Macron sciolse l’Assemblea nazionale, ma in capo a un mese i francesi gliela restituirono non troppo diversa da quella che aveva dato quasi il 40% al Rassemblement National di Marine Le Pen. Da allora Parigi è senza governo: prima ha fallito l’ex commissario Ue gollista Michel Barnier, oggi il centrista cattolico François Bayrou arranca alla guida di un esecutivo che a malapena riesce ad affrontare gli affari correnti.
La situazione delle finanze pubbliche è pesante, quasi fuori controllo, con il deficit a quota 6%, in zona rossa Ue. È stata questa grave impasse a far emergere l’ipotesi di un referendum: anzitutto sul nodo dei nodi, la riforma delle pensioni (quella che l’Italia ha varato 14 anni fa sotto la minaccia dello spread e la pressione della Ue).
Ma alla “domanda delle domande”, ieri sera, Macron ha di nuovo scartato l’ostacolo: ha escluso di sottoporre al voto popolare la riforma previdenziale. Troppa – evidentemente – la preoccupazione di vedersi bocciato direttamente da quell’elettorato che per due volte (nel 2017 e nel 2022) non gli ha regalato al primo turno delle presidenziali più del 25%.
Troppa la paura di fare la fine del generalissimo De Gaulle – l’inventore del singolare semipresidenzialismo francese –, che scavallò il maggio 1968, ma un anno dopo fu pensionato senza troppi complimenti dai francesi su un referendum molto laterale sulle autonomie regionali. Troppa l’ansia di Macron di vedersi tornare addosso come un boomerang la rabbia degli elettori di RN, dopo che la leader è stata dichiarata non eleggibile alle prossime presidenziali da una pronuncia giudiziaria estremamente controversa.
Macron sembra convinto di poter continuare a tenere la Francia in ostaggio, mentre il tourbillon geopolitico e la stasi Ue sembrano offrirgli ancora qualche sponda dilatoria, quando mancano ancora un paio d’anni alle prossime presidenziali. Ma fra quaranta giorni, dall’1° luglio, in Francia si potranno tenere di nuovo elezioni legislative, dodici mesi dopo l’ultimo voto anticipato.
Ancora all’inizio dell’anno sembravano essere per Macron un possibile approdo: per quel “chiarimento” (a suo favore) che aveva azzardato a metà 2024. Ma un presidente così poco entusiasta di un referendum saprà giocare (ed eventualmente vincere) la smazzata decisiva?