Nonostante il tasso di occupazione a livelli record, per l'Italia resta la necessità di far crescere il numero di lavoratori
Il Fondo nuove competenze è giunto alla terza edizione. L’iniziativa è stata avviata per la prima volta dopo la prima fase della pandemia e replicata già un’altra volta. Con fondi nazionali in aggiunta alle risorse del Fondo sociale europeo, il programma finanzia le imprese che intendono organizzare corsi di formazione per i lavoratori nelle ore di lavoro. Il finanziamento è proprio per coprire il costo del lavoro delle ore destinate alla formazione.
Durante il periodo pandemico vi è stata una accelerazione nell’introduzione di nuove metodologie di lavoro sia per gli aspetti organizzativi imposti dal lockdown, sia per l’introduzione di nuove tecnologie. L’innovazione, legata alla digitalizzazione e all’uso dell’intelligenza artificiale, sommate ai cambiamenti richiesti per adeguare i sistemi produttivi all’economia circolare, stava già iniziando e richiedeva un adeguamento delle competenze dei lavoratori coinvolti nei processi innovativi. L’accelerazione ha prodotto anche cambiamenti in alcuni mercati con la chiusura di attività e l’apertura di nuove imprese. La domanda di percorsi di upskilling e reskilling era evidente e il programma del fondo nuove competenze ha permesso alle imprese di avviare importanti iniziative di formazione utilizzando parte dell’orario lavorativo.
La terza edizione partita in questi giorni sta raccogliendo ancora un grande interesse. Già nella prima settimana sono arrivate 11mila istanze singole, 110 filiere hanno avanzato domanda per programmi che coinvolgono più imprese e più di 100 sistemi formativi si sono registrati con loro iniziative. Il programma rimarrà aperto fino al 10 aprile ed è finanziato con 731milioni di euro, integrabili con altri fondi se dovessero arrivare a esaurimento.
Obiettivo resta quello di favorire l’adeguamento delle competenze a fronte dei cambiamenti tecnologici e produttivi in corso. Oltre a quelli per occupati si finanziano anche corsi formativi dedicati all’inserimento di nuovi lavoratori. Il coinvolgimento dei fondi interprofessionali con l’estensione delle possibilità di certificazione delle competenze ha portato a un rafforzamento dei punti di accesso al programma migliorandone efficienza ed efficacia.
L’iniziativa può essere vista anche come uno dei tasselli che oggi concorrono a mantenere alto il tasso di occupazione. Anche le ultime rilevazioni legate al mercato del lavoro ci indicano che rimaniamo con un tasso di occupazione record (62,3%), ma segnalano che la crescita degli occupati si è praticamente fermata negli ultimi due mesi. Inoltre, tornano a crescere i disoccupati. Dopo un periodo in cui il dato in crescita era quello degli inattivi, molti non si candidavano al lavoro, oggi tornano a cercare un’occupazione ma non riescono a trovarla.
Nella fase immediatamente post-Covid la nostra economia ha avuto una tenuta superiore alle aspettative. Oggi resta il record occupazionale, ma insieme a questo restano i problemi di fondo. Restiamo nelle ultime posizioni europee sia per numero di occupati che per retribuzioni e produttività. Infatti, i dati reali legati alla situazione del nostro sistema produttivo ci dicono che le ore lavorate per addetto calano da ben oltre 12 mesi. Calano da 6 mesi gli investimenti privati e la produzione industriale è in calo.
È nell’insieme una situazione che non può lasciare tranquilli, né tantomeno si può sostenere che abbiamo una fase positiva. L’orizzonte si presenta grigio in assenza di decisi interventi che sostengano l’innovazione e investimenti che rilancino la produzione e innalzino la produttività in tutto il sistema, a partire dalla Pubblica amministrazione.
Questo impegno deciso su investimenti e produttività richiede anche un più deciso programma di formazione a sostegno dell’innovazione. Anche con i risultati positivi registrati dagli ultimi programmi di formazione finanziati restano scoperti troppi posti di lavoro. Secondo l’indagine Excelsior nell’ultimo mese di gennaio, a fronte di una domanda di 500mila nuovi lavoratori, le imprese hanno coperto solo il 50% dei posti disponibili. Il mismatching qualitativo fra esigenze del sistema produttivo e percorsi educativi e formativi seguiti dai giovani tende ad ampliarsi.
A questo dato si aggiunge poi il dato strutturale del nostro mercato del lavoro dove la quota di inattivi resta alto rispetto ai Paesi con un sistema economico confrontabile con il nostro. Di fronte al calo della natalità vi è quindi la necessità di politiche che portino alla diminuzione della quota di popolazione che resta fuori dal mercato del lavoro. Abbiamo un 30% di persone che pur essendo in età lavorativa non si attivano per cercare una occupazione.
Per avere un equilibrio fra servizi alle persone (il welfare sociale) vi è necessità di un’economia in crescita, di salari maggiori, ma anche di più persone occupate. Dovrebbe essere questo il tema in discussione per un patto per lo sviluppo del Paese senza cadere invece in polemiche sul mercato del lavoro fra chi pensa che si sia già nel migliore dei mondi possibili e chi crede di essere ancora negli opifici della rivoluzione industriale.
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