“Distillare è bello”, scriveva primo Levi nel suo magistrale Il sistema periodico. L’accostamento dell’idea di bellezza con il mondo della chimica è indubbiamente molto lontano dal sentire comune; ma non dalla pratica di chi la chimica la studia e la costruisce quotidianamente. E ha il coraggio, come Gianni Fochi, chimico della Scuola Normale Superiore di Pisa e noto per una intensa presenza nell’ambito della comunicazione scientifica, di titolare con “La chimica è bella” uno dei primi capitoli di un libro che ha un titolo ancor più contro corrente: La chimica fa bene (Giunti). IlSussidiario.net l’ha incontrato per cercare di andare alle radici di questa sua posizione.
Il titolo del suo ultimo libro potrebbe far pensare a una difesa d’ufficio della chimica; nel testo però non si nascondono problemi e responsabilità. Qual è il modo migliore per parlare della chimica oggi?
Una difesa d’ufficio sarebbe poco efficace, perché la gente avverte il bisogno che si vada al cuore dei problemi. Credo necessario innanzitutto un grande equilibrio: non si può parlare solo dei benefici recati dalla chimica. È giusto presentarli, non sono affatto pochi: senza la chimica il progresso materiale non ci sarebbe stato e oggi non ci sarebbe innovazione. Nel libro ne fornisco alcuni esempi, aiutando il lettore profano a comprenderne il nocciolo scientifico. Se però non s’apre una discussione onesta su un passato che ha i suoi scheletri nell’armadio, l’uomo della strada percepisce chiusura e dunque non si fida. Sarebbe ora che fosse proprio il mondo della chimica a suscitare discussioni a tutto campo, anziché sperare — o, meglio, illudersi — che su un passato sgradevole scendesse l’oblio. Tanto più che anche nel passato il bilancio della chimica nei confronti della società è largamente positivo: i pro superano senz’altro i contro; ma per illustrare gli uni occorre parlare anche degli altri.
Pensando ai giovani come interlocutori, come lei fa nella prima parte del volume, su cosa far leva per far sì che la considerino qualcosa che “vale la pena”?
Bisogna far leva sulla freschezza della gioventù, sul suo bisogno di sincerità e sul suo entusiasmo. È sbagliato dar a intendere che studiar chimica all’università sia puro divertimento. Va spiegato che questa scienza apre la mente alla comprensione del mondo materiale e apre anche strade professionali interessanti; ma guai a nascondere che questi traguardi bisogna sudarseli! Se la chimica universitaria cerca di reclutare anche gli inadatti e gli svogliati, ne scapitano poi tutti. Nel libro parlo di bibite gassate, capelli lisci o mossi, occhiali che scuriscono al sole, display a cristalli liquidi… E per parlarne affronto concetti scientifici “tosti”, sia pure in modo molto leggero, alla portata ovviamente di chi la chimica non la sa: serve a invogliare a far di questa disciplina la propria vita, ma anche a far capire che non sarà una vita da scansafatiche.
La forza dei luoghi comuni oggi sembra essere enorme e la chimica ne è particolarmente bersagliata. Prendiamo il verde: anche la chimica è costretta a diventare Green, o era una vocazione già presente?
La chimica è nata quando l’uomo delle caverne ha imparato a controllare il fuoco e a servirsene per una miriade di trasformazioni utili: cuocere cibi, estrarre metalli ecc. In una storia così lunga si trovano mischiati atteggiamenti che oggi diremmo ecologici, come l’evitar lo spreco di materia prima e il ridurre al minimo gli scarti e i sottoprodotti inutili, con altri di disinteresse nei confronti dell’ambiente e della salute. Scrivendo La chimica fa bene ho inteso dimostrare che si può far sempre meglio, ma anche sfatar l’idea secondo cui oggi si può cominciare a tollerar la chimica, perché solo oggi starebbe sforzandosi d’essere sostenibile. Secondo me questa prospettiva, presentata talvolta anche da certi settori della chimica stessa, rischia d’esser fuorviante.
Altro tema caldo: il “bio”. Perché non vale l’affermazione che “biologico” è sempre buono e sicuro, chimico sempre dannoso?
Cominciamo col chiarire che chimico non è sinonimo d’artificiale. La natura, e quindi la biologia, sono fatte di sostanze chimiche e sfruttano reazioni chimiche. Di più: molte sostanze naturali sono pericolosissime, e nel libro porto esempi di ecatombi causate in passato da cibi che non avevano la protezione degli antiparassitari moderni. Resta il fatto che, col passar del tempo e il progredir delle conoscenze, succede che in alcuni di questi ultimi si scoprano proprietà pericolose: mai abbassar la guardia, dunque. Anzi: bisogna sempre continuar a cercare sostanze nuove e più sicure.
Ricerca e industria: un binomio che potrebbe dare frutti migliori ma in Italia non sempre ha funzionato. Lei vede segni di miglioramento?
Mah!… Diciamo che il mondo va avanti grazie all’innovazione, e quindi sopravvivrà e avrà posizioni dominanti solo chi farà davvero ricerca utile. Con quest’aggettivo intendo sia la ricerca che aumenta la conoscenza, sia quella che può essere applicata alla tecnologia. Purtroppo nell’università italiana si fa molta ricerca chimica che non rientra in nessuna delle due categorie: solo chi la fa riesce a considerarla utile. Nell’industria nazionale abbiamo qualche eccezione importante: si veda la bella storia di Natta e della Montecatini, che nel libro riassumo, e che ci portò l’unico premio Nobel chimico nostrano. Ma nel complesso c’è sempre stata una certa miopia: ancor prima di questa maledetta crisi, che costringe a tagliare ciò che non serve alla sopravvivenza immediata, una vera collaborazione con l’università, che avrebbe fatto molto bene a entrambe le parti, era piuttosto rara. Miglioramento? Speriamo che Giorgio Squinzi, ora a capo degli industriali italiani, sappia infondere nelle aziende associate il suo spirito d’imprenditore moderno e lungimirante.
(Mario Gargantini)