Si candida a diventare un best seller scientifico, soprattutto se fra due settimane arriverà l’annuncio che la scoperta della particella di Higgs fatta dagli scienziati del Cern lo scorso anno avrà ricevuto il premio Nobel per la fisica. Il libro di Jim Baggott ha proprio questo come titolo, Il bosone di Higgs e racconta, come recita il sottotitolo, l’invenzione e la scoperta della “particella di Dio”; sottotitolo che giustamente l’editrice Adelphi non ha messo in copertina, visto che sia mister Higgs (l’inventore) che Fabiola Gianotti (la scopritrice) hanno ritenuto fuorviante quella espressione. Restano però validi gli altri due termini, invenzione e scoperta, che si riferiscono il primo alla elaborazione teorica che nel lontano 1964 ha portato un gruppo di fisici a proporre quel meccanismo che poi ha preso il nome di uno di loro, Peter Higgs appunto; il secondo al lavoro sperimentale che ha condotto i due gruppi ATLAS e CMS dell’acceleratore LHC del Cern a stanare la particella arrivando all’evidenza sperimentale a 5 sigma, cioè con la precisione del 99,9999%.
In realtà, ed è uno dei pregi del libro, la storia raccontata inizia quando ancora nessuna pensava di costruire l’acceleratore LHC e ancor prima anche delle teorie di Higgs e compagni. Inizia dalla domanda elementare “di che cosa è fatto il mondo?” e ci conduce in una cavalcata entusiasmante tra i vari successi della fisica nel tentativo di trovare risposte: dalla scoperta dell’elettrone e del nucleo atomico, circa un secolo fa, su su attraverso le diverse tappe segnate dalla scoperta dei quark, alla cromo dinamica quantistica, alla scoperta dei bosoni W e Z° da parte di Carlo Rubbia. È una storia che oltrepassa i confini specialistici della fisica delle alte energie per toccare i temi caldi della cosmologia, intersecandosi con il modello dell’hot Big Bang e con la teoria dell’inflazione.
Tra i punti più notevoli del resoconto di Baggott va citato il particolare rilievo dato alla simmetria e alla rottura della stessa come chiave per capire un po’ meglio il bosone e suo ruolo nel modello standard della fisica delle particelle; ruolo così sintetizzato dall’autore, «Brout, Englert, Higgs, Guralnik, Hagen e Kibble avevano inventato il campo di Higgs come strumento per rompere le simmetrie alla base delle teorie di Yang-Mills. Weinberg e Salam avevano mostrato come applicare il trucco alla rottura di simmetria elettrodebole, e la tecnica era stata usata per predire correttamente la massa del W e della Z. Lo stesso accorgimento, usato in seguito per rompere la simmetria della forza elettronucleare, ha avuto conseguenze sorprendenti e ha portato alla scoperta della cosmologia inflazionaria e alla previsione precisa della struttura su larga scala dell’universo. Il concetto totalmente teorico di campi di Higgs e quello dei “falsi vuoti” implicati da tali campi erano divenuti centrali sia per il Modello Standard della fisica delle particelle, sia per quello emergente della cosmologia del big bang».
Se per il grande pubblico Higgs è comparso negli ultimi tempi, è interessante scoprire come tra i fisici sia stata una presenza ricorrente in questi 50 anni, incrociandosi con altri sviluppi teorici e con i vari tentativi di verifiche sperimentali. E sullo sfondo troviamo la competizione Usa – Europa per il primato nella fisica sperimentale, con la chiusura sul nascere del megaprogetto del Supercollider statunitense, con la vana rincorsa all’Higgs da parte del Fermilab di Chicago e con la determinazione dei fisici europei del Cern nel realizzare dapprima il Lep e poi l’LHC.
La ricchezza di informazioni e di materiali utilizzati da Baggott rendono la lettura attraente anche per chi già frequenta questi argomenti; mentre, per il pubblico più vasto gioca a favore del testo il buon equilibrio tra racconto – con episodi, aneddoti e retroscena – e spiegazioni. Assistiamo a un lodevole, e abbastanza riuscito, tentativo di rendere accessibili concetti non banali; anche se, per raggiungere un simile obiettivo più che un problema di divulgazione, almeno per il contesto italiano, c’è problema di educazione e di sensibilità di fondo del pubblico, che è talmente bassa e debole da rendere precario anche lo sforzo più imponente.