Basterebbe il titolo di questo libro, “Il sorriso di tenerezza. Letture sulla custodia del creato” per intuire che si tratta di un modo non comune di affrontare il tema ecologico. L’espressione peraltro è presa da un testo del 1942 di Simone Weil, che va ancor più a fondo e toglie ogni possibile fraintendimento o interpretazione superficiale: «La bellezza del creato è il sorriso di tenerezza che Cristo rivolge a noi tramite la materia. Egli è realmente presente nella bellezza dell’universo. L’amore per questa bellezza deriva da Dio che è disceso nella nostra anima e ritorna a Dio che è presente nell’universo».
Anche l’autore sorprende: Paolo Portoghesi, architetto, certo un grande professionista e fine intellettuale, che ci eravamo abituati a vedere all’opera nell’arricchire il creato con i suoi progetti per edifici che adornano molte città italiane; e che sentivamo spesso parlare di ambiente ma di quello costruito, che si trattasse di una chiesa, di una moschea, di un teatro, di una piazza. Il confronto con l’ambiente naturale è però inevitabile e Portoghesi si era già spinto sul terreno della riflessione culturale in questa direzione nel saggio Architettura e natura.
Con questo volume ci offre un ampio spettro di suggestioni e di provocazioni, favorite dalla scelta della forma comunicativa antologica che gli consente di attraversare epoche, culture e religioni riunendo il meglio delle riflessioni proposte circa il rapporto uomo-natura.
Non si tratta solo di evocazioni suggestive o di slanci poetici, come i termini “sorriso” e “tenerezza” potrebbero far immaginare. Ci sono argomentazioni robuste e confronti culturali di grande spessore, corredati dalle citazioni di studiosi e pensatori che meritano davvero di essere segnalate nel dibattito, spesso riduttivo e ideologico, che “inquina” le tematiche ambientali: da poeti come Holderlin, Novalis, Rilke e Luzi; a filosofi come Pascal e la stessa Weil, a scrittori come Dostoevskij, Bernanos, Peguy; ad artisti come van Gogh, a teologi come Urs von Balthasar; senza dimenticare sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Francesco, Ildegarda di Bingen, Pavel Florenskij.
Soprattutto c’è un convinto e convincente richiamo esplicito e ampio ai pronunciamenti più recenti del Magistero della Chiesa che ne mostra tutta l’attualità e la forza di proposta culturale in grado di rispondere alle sfide del mondo contemporaneo. L’antologia ha il pregio di documentare le radici antiche della posizione esplicitata dagli ultimi Pontefici e la continuità attraverso i secoli di un pensiero e soprattutto di una pratica dove si manifesta tutto il senso e il valore dei verbi “custodire” e “curare” applicati al creato. Pagina dopo pagina, si comprende bene cosa voglia dire nel concreto amare e rispettare la natura, vista come “creata”: dove la bellezza «non è un elemento accessorio di cui compiacersi per ragioni estetiche ma un riflesso della essenza divina e dell’ordine unitario che caratterizza la creazione».
Lo svolgersi della ricognizione di Portoghesi lungo i secoli, suona come evidente smentita del perentorio giudizio dello storico Lynn White che nel 1967 sulla rivista Science aveva parlato di “arroganza cristiana” e aveva sostenuto la tesi – spesso poi rilanciata e data per assodata – della responsabilità della mentalità giudaico-cristiana nella genesi di un insanabile conflitto tra uomo e natura. Al contrario, sostiene l’autore, la cultura occidentale «dovrebbe riconoscere che l’ybris, la dismisura che l’ha resa nemica degli equilibri del pianeta, non sta nella continuità ma piuttosto nel graduale distacco dalla propria tradizione religiosa».
Seguendo lo stile e l’atteggiamento ben espresso dal beato Paolo VI, da san Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e da Francesco, siamo messi di fronte non a un approccio difensivo o puramente reattivo ma alla proposta di uno sguardo (sorriso e tenerezza) che diventa giudizio e capacità di costruttività.
Già nei primi anni ’70 Paolo VI ammoniva: «Come si possono ignorare gli squilibri provocati nella biosfera dallo sfruttamento disordinato delle riserve fisiche del pianeta»; ma al tempo stesso invocava un cambiamento di mentalità e l’urgenza di quella che, quasi 40 anni dopo Benedetto XVI nella Caritas in Veritatechiamerà “ecologia umana”.
E all’inizio del suo pontificato, il Papa polacco nella Redemptor hominis aveva affermato che «era volontà del Creatore che l’uomo comunicasse con la natura come “padrone” e “custode” intelligente e non come “sfruttatore” e “distruttore” senza alcun riguardo». Quella del custodire è una prospettiva particolarmente cara a Papa Francesco: l’ha citata, come ricorda Portoghesi, nel primo incontro con la stampa tre giorni dopo la sua elezione, spiegando la scelta del suo nome riferito al santo di Assisi, “l’uomo che ama e custodisce il creato”. Ma l’ha ripresa più volte, dalla Lumen Fidei fino a quel vibrante discorso per la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2013: «Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso [….] vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti».
Accompagnata dal corredo delle splendide immagini fotografiche realizzate dall’autore – inserite, dichiara lui stesso, perché “il libro nasce dal desiderio di spingere il lettore a riconoscere nella bellezza del creato l’impronta del Creatore” – la lettura di queste pagine sarà senz’altro preziosa per tutti coloro che intendono candidarsi al ruolo di “custodi del creato”.