L’omicidio di Martina Carbonaro dovrebbe farci riflettere sull’importanza della famiglia. I genitori non hanno più una senso della vita da trasmettere
Caro direttore,
l’omicidio di Martina Carbonaro, 14 anni, uccisa dal fidanzato poco più grande mi ha fatto riflettere sull’importanza della famiglia. La famiglia è attaccata perché autonoma dal potere in quanto nucleo di un pensiero e di una economia indipendente. Sembra che questa battaglia sia quasi persa e credo che il motivo sia la perdita di ideali nei genitori.
Vedo molti giovani apatici, incapaci di una passione. In un incontro fatto per presentare il mio romanzo ho visto studenti guardarmi allibiti quando pronunciavo le parole libertà, giustizia, Dio. Ma di chi è la colpa, dei ragazzi? Certamente no. La responsabilità è dei genitori che hanno perso l’impeto ideale. Non è un problema di coerenza, è un problema di mancanza di vigore ad indicare la via.
Il problema culturale non è dei figli, è dei genitori che non hanno più il coraggio di affermare, anche solo per un istinto di conservazione, cosa sia giusto fare e non fare. Come è possibile abbandonare i figli all’opinione del mondo dal quale sono bombardati attraverso i social e il pensiero dominante?
Ripeto, il problema della famiglia è il genitore. È meglio perdere il rapporto con un figlio perché si ha una forte concezione della vita piuttosto che perderlo per nessuna presa di posizione; se non altro ne conosciamo il motivo. Eppure vedo come anche negli ambienti cattolici, quelli che avrebbero più diritto di parlare di verità, ci sia una ritirata generale. In nome di cosa? Per il timore che il proprio figlio non si senta rispettato nella propria libertà. Nella grande epoca del dialogo il confronto è morto. È questo è tanto più grave quando si manifesta nel rapporto genitori e figli.
La mia vita è cambiata quando da piccolo sono stato portato dai miei genitori a teatro, a vedere un bel film, a leggere un libro costruttivo, ad ascoltare un disco di Gaber e ancora di più quando assistevo in un cantuccio a vederli parlare con i loro amici del senso della vita fino a ora tarda. Chi lo fa più?
Il giovane, il figlio, ha bisogno di una proposta costruttiva con la quale confrontarsi. In questo ci sta dentro anche la ribellione, ma il dire di “no” è possibile grazie ad un rapporto che esiste e con cui si è costretti a fare i conti, a riflettere, dentro al quale crescere, anche solo perché “lo hanno detto papà e mamma”.
Questa fatica educativa mostra il fianco all’ideologia che vuole entrare nella scuola per educare i nostri figli alla falsa libertà del desiderio istintivo. Così la bisessualità diventa il biglietto da visita più semplice, l’apertura disimpegnata a tutti. Il massimo dell’inclusività. Il giovane il cui cuore è pieno di grandi domande ideali viene massacrato.
La conseguenza è quella di ragazzi ridotti ad un’esistenza animale, svuotati da ogni desiderio per essere manipolati facilmente dal potere. Il risultato, annientata la potenza del desiderio unico dei figli, è un esercito di giovani esseri umani incapaci di domandarsi perché vogliono essere felici. La colpa non è loro, è dei genitori che hanno smesso di amare se stessi e quindi i loro figli.
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