Secondo l’evangelista Matteo “il regno dei Cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono”. Non ho mai capito fino in fondo il significato ultimo di questa misteriosa affermazione. È leggendo Con l’ultima voce, il secondo romanzo di Camillo Bartolini (Cantagalli, 2025), che forse ho iniziato a intuirne il senso.
Dopo Secondo Pilato, romanzo con cui l’autore ha esordito, torna in libreria un’altra storia ricca di fascino: stavolta, al centro delle vicende, c’è Disma, il buon ladrone che, proprio con l’ultima voce, poco prima di spirare crocifisso accanto a Gesù, gli chiese di essere salvato.
Anche con questo romanzo Bartolini, laureato in lettere classiche, dimostra il proprio talento nel saper maneggiare un periodo storico complicato, attraversato da vicende che hanno segnato la storia dell’intera umanità, in quel lembo di terra che è stato – ed è tuttora – crocevia di religioni, potere e speranze.
In Con l’ultima voce Disma non è ancora il “santo” delle tradizioni popolari: è un giovane zelota pieno di rabbia e desiderio di riscatto, guidato dall’odio per l’occupante romano e dalla fedeltà verso il fratello di strada Gesta. Il romanzo ci accompagna nella sua vita violenta e tormentata, in una Gerusalemme febbrile, dove la sopravvivenza è guerra quotidiana e il confine tra giustizia e vendetta si assottiglia fino a sparire.
Il lettore assiste, attraverso episodi memorabili e una scrittura tesa ma lirica, alla trasformazione di Disma: dalla sua iniziazione cruda tra gli zeloti fino all’inevitabile scontro con il proprio passato, con la colpa e, infine, con il perdono. L’assassinio del giovane legionario, le incursioni, le scene d’amore con Giuditta, il tradimento e il sacrificio finale compongono un affresco umano che non cerca giustificazioni, ma verità. A colpire è proprio la caparbietà di Disma e la sua fedeltà alla sete di giustizia e di verità, che lo condurrà, infine, persino a mettere in dubbio l’ideale al quale, fino alla condanna della croce, ha immolato la propria vita.
Il romanzo è scritto con un linguaggio ricco, evocativo, ma sempre funzionale al ritmo narrativo. Bartolini padroneggia registri diversi: ora epico, ora intimo; ora crudo, ora contemplativo. Lo stile ha echi biblici e danteschi – come suggerisce l’esergo all’inizio, tratto dal Purgatorio – ma sa restare concreto, viscerale. I dialoghi sono vivi, il montaggio alternato (passato e presente, azione e riflessione) offre al lettore una buona profondità di sguardo.
Con l’ultima voce è un romanzo radicalmente umano, che mostra per davvero cosa significhi restare fedeli al proprio grido, fino a farsi violenza, accettando negli ultimi istanti di volgere lo sguardo altrove. Disma non è un eroe, e proprio per questo riesce a restare impresso: è uno di noi, capace di compiere il male, ma anche, infine, di domandare, una sola volta ancora, la salvezza, avendo intuito che quell’uomo, Gesù, ne incarna la possibilità. È così che Disma, all’ultimo istante, riuscirà ad impadronirsi del cielo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.