L’ultimo libro di Eugenio Mazzarella (Europa, cristianesimo, geopolitica. Il ruolo geopolitico dello “spazio” cristiano, Mimesis 2022) è un contributo appassionato che aiuta a fare luce sullo stato di salute del mondo che abitiamo.
L’autore non concede il minimo sconto alle facili scorciatoie dell’ottimismo apologetico. Al contrario, il punto di vista adottato è quello di un giudizio severamente critico sugli esiti della modernizzazione dell’Occidente. In primo piano riemergono i suoi punti deboli e le contraddizioni irrisolte: non il trionfo di un grandioso balzo in avanti, ma il peso di un “deficit” strutturale o di una “slealtà” che hanno depauperato il paesaggio umano edificato nella vicenda degli ultimi due secoli. La modernizzazione che si è attuata è stata, sì, rivoluzionaria, ma anche “aberrante”. Si è costruita a partire da uno svilimento delle radici che avevano alimentato il patrimonio della coscienza identitaria del cosmo europeo, con le sue proiezioni negli altri contesti continentali. A essere messi in crisi, pericolosamente infragiliti, sono gli stessi “fondamenti” su cui si era cementato il Dna di un ordine etico ideale, configurato per dare forma alla vita degli uomini nella realtà sociale.
Questi fondamenti erano, nel loro nucleo essenziale, “fondamenti spirituali”, strettamente intrecciati alla concezione della persona e alla visione del mondo di matrice cristiana, investiti poi da un processo di rimozione o di censura autolesionista, che ne ha depotenziato la forza civilizzatrice e li ha messi ai margini della transizione all’assetto attuale.
In effetti, i fondamenti religiosi non erano rimasti confinati nello spazio dualistico del sacro. Si erano innestati nelle dinamiche più materiali della società umana, incrociandosi con la maturazione della razionalità tipica di quello che si potrebbe definire un “illuminismo” decisamente anteriore alla sua più aggressiva versione scardinatrice, esplosa con la crisi finale dell’Antico Regime. L’alleanza tra la potenza creativa della ragione e l’ancoraggio alla verità teologica della fede cristiana aveva generato il surplus di una antropologia positiva, aperta almeno potenzialmente all’emancipazione del soggetto umano (di ogni soggetto umano senza distinzioni).
Ed è la rottura di questo connubio che ha provocato l’inaridimento delle fonti di sostegno, la riduzione dei valori alla sfera del moralismo etico-giuridico vincolante, il formalismo delle regole e delle procedure che faticano a stare in piedi e a prosperare in un clima favorevole perché sottratte ai presupposti che erano la loro ultima ragion d’essere e la loro anima profonda. Rimane il guscio dello scheletro esterno, ma la sostanza interna, non più irrorata dalle sue sorgenti, deperisce e va incontro a inevitabile paralisi.
Lo scenario che si dipinge può sembrare deformato da un’inclinazione esasperata alla drammatizzazione. Ma dallo stesso linguaggio usato si intravede che l’enfasi polemica è da intendere, piuttosto, come l’espressione di una franchezza totalmente realistica. La critica della “modernizzazione aberrante” riprende esplicitamente la lucida analisi del mondo contemporaneo tracciata nel famoso colloquio di Habermas con il cardinale Ratzinger, tenutosi a Monaco nel 2004. La congenita gracilità dello “Stato liberale secolarizzato”, bisognoso di fare leva su “presupposti che esso stesso non è in grado di garantire”, coincide con l’idea dello squilibrio costitutivo di un sistema di vita pubblica esposto al rischio di liquefarsi fuoriuscendo da argini che non sono sufficienti a contenerlo: idea al centro della riflessione sui caratteri dell’ultima modernità elaborata da Böckenförde e ripresa, di nuovo, da Ratzinger. La questione antropologica radicale di un umanitarismo privato di parametri di riferimento e lanciato nella corsa verso un soggettivismo o un relativismo che annullano le differenze, sostituendo l’arbitrio del desiderio individuale al riconoscimento di un qualunque ordine oggettivo, sta sullo sfondo del “cambiamento d’epoca” denunciato dal magistero degli ultimi pontefici (lo si trova ribadito come quadro di avvio nello scritto forse più ricco e stimolante di Julián Carrón, La bellezza disarmata, non a caso qui più volte citato).
Inserendosi nella scia dei maestri più autorevoli della coscienza critica degli ultimi approdi della modernità occidentale, Mazzarella riesce a far risaltare, per contrasto, la fecondità degli antichi fondamenti che erano stati in grado di resistere anche alla “neutralizzazione” del loro retroterra teologico, ma che ora, rimasti sguarniti, rischiano di finire definitivamente travolti dall’ondata del conformismo compiutamente secolarizzato, antiutopico e deideologizzato.
Il loro tesoro più prezioso consisteva nella scoperta della dignità della persona umana, conseguente a una religione dell’incarnazione capace di scorgere i nessi tra l’ordine soprannaturale e l’ordine terrestre e di affermare, quindi, alla luce del principio cristologico, il “divino” che si cala nel segno angusto di ciò che è puramente umano e si può fondere con il suo destino. L’esaltazione della grandezza infinita dell’io singolare è stata il pilastro robusto su cui ha potuto prendere piede, gradualmente, con tanti limiti storici e tante ricadute all’indietro, l’idea delle libertà e dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Ma i diritti e le libertà non potevano che essere visti come un patrimonio condiviso, da cui discendeva la natura “comunionale” di una orizzontalità sostanzialmente fraterna, relazionale, fondata sul reciproco riconoscimento della pari dignità dell’io e dell’altro da sé che gli sta di fronte; quindi sorretta dalla vocazione obbligata all’accoglienza, dallo spirito di solidarietà tradotto in un dinamismo etico capace di esteriorizzarsi anche nella regolazione giuridica della vita sociale e nel governo politico della Respublica, in una prospettiva di welfare praticato nei fatti prima ancora di essere teorizzato come assetto burocratico statalizzato.
La rottura del tessuto genetico di una economia morale ancorata alla difesa del bene autentico del soggetto umano ha minato la saldatura tra la tutela dell’interesse individuale e l’apertura solidaristica al bene generale dell’organismo sociale. La grande “piattaforma dei diritti fondamentali” della persona elaborata nel solco della tradizione dell’Occidente cristiano è stata costretta a lasciare spazio alla frammentazione sempre più atomizzata dell’ipertrofia dell’io egoistico, a scapito dell’altruismo della fraternità e della giustizia compartecipata. Il diritto che si autogiustifica diventa una pretesa senza limiti, asservita alle logiche di funzionamento di un sistema basato sull’accumulo del profitto per i propri scopi e sull’asservimento delle persone e delle cose. E questa deriva verso una restrizione progressiva degli orizzonti, che minaccia di ridurre l’Europa allo stato comatoso di “vivente terminale” (cap. 2), si camuffa presentandosi sotto le vesti di codice culturale legittimante di un ordine economico-sociale innervato dal primato dell’individualismo “mercatorio” dell’homo consumens, al centro di un formidabile apparato di consenso e di controllo capillare, in funzione della conquista dell’egemonia sul fronte della globalizzazione planetaria.
L’aspetto forse più notevole della lettura di Mazzarella è però il fatto che la critica della strumentalizzazione in senso “liberista”, filocapitalista e omologante, del personalismo comunitario di matrice occidentale-cristiana non sfocia assolutamente nell’utopia capovolta di una restaurazione dell’ordine confessionale spazzato via dall’evolvere della storia. Nessun conservatorismo politico-culturale si profila dietro l’angolo di una sterile fuga nostalgica: anzi, la critica è tutta proiettata in avanti. Si tratta di recuperare l’anima ispiratrice di fondo di una “ecologia” dell’ordine umano, ripartendo da un nuovo “annuncio” dei suoi fondamenti costitutivi, tale che possa suscitare adesioni ben al di là del perimetro di una ortodossia religiosa professata in tutte le sue implicazioni di fede.
Solo una “espansività valoriale” di questo genere, scaturente da una reale “rinascita” della sintesi inclusiva tra il mondo dell’io e la corona dei tu che lo circondano, potrà ristabilire le premesse per un governo efficiente dei processi di globalizzazione che stanno rimodellando il volto della società universale. Per fare in modo che non sia una globalizzazione ulteriormente distruttiva, desertificatrice; per ottenere che, all’interno di essa, i nuovi padroni del mondo, invece di puntare solo sulla lotta competitiva per l’affermazione del proprio potere, si adattino alla ricerca del confronto dialogico e a un’armonizzazione multipolare con gli altri spazi di civiltà, anche esterni alla galassia dell’Occidente euro-americano, nel quadro di un’unica, grande “ecumene umana” unitaria.
Bisognerà innalzare nuove fondamenta perché tutto questo cominci a prendere corpo, inaugurando un faticoso cammino di costruzione di ponti per il reciproco incontro, dentro una insuperabile diversità plurale.
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