Il 5 gennaio 1968 a Praga, Alexander Dubček veniva eletto nuovo segretario generale del Partito Comunista di Cecoslovacchia (KSČ), inaugurando il breve, ma quanto mai significativo periodo storico del Paese ricordato come la “Primavera di Praga”. “Socialismo dal volto umano”: questa l’espressione che passò alla storia per indicare le riforme promosse da Dubček, nel tentativo di sanare la crisi economica e sociale del Paese attraverso la restaurazione dei diritti civili e della libertà di espressione, di associazione e di iniziativa. Un passo troppo grande e pericoloso per l’Unione Sovietica di allora, che, nella notte tra il 20 e il 21 agosto, invase militarmente la Cecoslovacchia.
Poco più che ventenne, il non ancora giornalista Renzo Foa, uno dei volti più noti nella storia della sinistra italiana del dopoguerra, assisteva con trasporto a quegli eventi. A quel tempo non avrebbe certo immaginato che sarebbe stato proprio lui, vent’anni dopo, alla fine del 1987, a intervistare per la prima volta dopo quei fatti lo stesso leader Dubček.
Il testo di quell’intervista, un vero “scoop” internazionale, fece il giro del mondo poco dopo la sua pubblicazione su l’Unità il 10 gennaio 1988, raggiungendo la prima pagina del Washington Post e suscitando l’interesse anche del Quotidiano del Popolo di Pechino. L’incredibile rilevanza si legava, in primis, ai lunghi anni di silenzio cui era stato relegato lo stesso Dubček, dopo la brutale repressione armata del movimento riformatore da parte del regime sovietico.
A questo aspetto si univa – quasi percependone da parte di alcuni un certo senso di identità – la complessa situazione politica europea degli anni 80, segnata dalla Perestrojka, ovvero il vasto programma di riforme politico-economiche e sociali promosso da Michail Gorbaciov per ricostruire il sistema economico sovietico nel solco di una evoluzione “democratica” del comunismo.
Ed è proprio il binomio “democrazia e socialismo” a segnare il binario su cui scorre il dialogo tra Renzo Foa e Alexander Dubček, pubblicato nel 2024 in un breve ma denso volume dal titolo L’Europa che non è stata. Intervista a Alexander Dubček (Succedeoggi Libri, 2024).
Pur essendone convinti sostenitori, Dubček e Foa ebbero modo di scoprire i limiti e i problemi del socialismo reale, seppur per vie differenti. Il leader della Primavera di Praga ne fece esperienza sia con la repressione subita nel ’68, sia con i precedenti diciassette anni vissuti nell’URSS di Stalin. Per Foa, invece, “rivelatori” furono la spaccatura del PCI nel 1956, a seguito dell’invasione sovietica durante la Rivoluzione ungherese, e la consapevolezza delle reali condizioni di vita nell’Unione Sovietica, così ben studiate da sua madre Lisa Giua.
Eppure, per entrambi, le speranze di un nuovo “umanesimo socialista” furono riaccese proprio dal disperato tentativo di Gorbaciov, percepito così somigliante ai fatti di Praga del ’68. È questa la cifra significativa del dialogo tra i due, segnato dalle emozioni giovanili di Foa che in trasparenza emergono in ogni passaggio e che, come indicato dallo storico Andrea Graziosi nella postfazione, tradiscono il sincero legame dei due “a quella che è stata l’ultima, grande para-religione della modernità”.
Quelle “speranze profonde” resuscitate dal progetto di Gorbaciov non tardarono però a mostrare il loro volto reale, quello dell’astrazione, portando a un rapido collasso del socialismo e alla dissoluzione dell’URSS. Se l’idea di un “comunismo riformato”, capace di dialogare con la libertà e la centralità dell’individuo, si dimostrò essere una cosa impossibile in quanto tale, al fallimento della Primavera concorse inoltre la chiusura dell’Occidente che, similmente negli anni 80, si dimostrò totalmente incapace di sostenere anche il tentativo di riforma avviato da Gorbaciov.
Ecco, dunque, il valore della riproposizione di questa storica intervista, che aiuta a riflettere sul valore essenziale della solidarietà tra visioni sociali anche differenti come leva per una crescita comune dell’Occidente.
L’esistenza di Renzo Foa fu, come ricorda nella prefazione Stefano Folli, “un viaggio nella storia e nelle contraddizioni della sinistra”. Un viaggio che nella seconda stagione fu segnato dalla delusione dell’ideologia comunista, resa manifesta proprio da alcuni passaggi dell’intervista, in cui traspare il ricordo del giovane giornalista che, dentro di sé, aveva conservato “il ricordo di Dubček dandogli il senso di un simbolo, di uno di quegli eroi buoni che ti accompagnano per tutta la vita”.
Nei suoi ultimi anni, conclusi precocemente nel 2009, Foa trovò una nuova dimensione politica nel liberalismo e si avvicinò al cattolicesimo. Nonostante ciò, come ricorda infine Graziosi, “i suoi occhi rimanevano fissi sulla esperienza che lo aveva così intensamente coinvolto nei decenni più importanti della sua vita”, certamente memore di una “Europa che non è stata”.
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