Un paio di anni fa in una tomba egiziana è stato trovato un papiro con un centinaio di versi di Euripide, provenienti da due tragedie andate quasi del tutto perdute: una di queste è il Poliido. La vicenda ci era nota finora solo attraverso i tardi mitografi, che però ne avevano parlato in gran numero, segno di un interesse diffuso per un mito che presentava aspetti dal fascino attraente quanto oscuro e che non solo Euripide, ma anche Sofocle aveva fatto oggetto del suo canto tragico.
Al di là delle molteplici varianti nei racconti dei mitografi, la storia era raccontata all’incirca così: il re di Creta Minosse ha un figlio ancora bambino, Glauco, che un giorno scompare e a nulla servono le ricerche. Minosse convoca indovini e veggenti e propone loro un indovinello: che cosa significa una giovenca che cambia tre diversi colori nella giornata? Degli indovini l’unico a risolvere l’indovinello è Poliido, il “molto esperto”: la giovenca simboleggia il progressivo maturare di una mora di rovo.
L’indovinello sembra piuttosto futile, ma ha in comune col più celebre enigma, quello della Sfinge risolto da Edipo, la concezione del mutare nel tempo, della modificabilità del reale visibile. Minosse impone quindi a Poliido di trovare il bambino e l’indovino lo scopre annegato in un vaso di miele; allora il re ordina a Poliido di risuscitarlo.
Il frammento di Euripide trovato in Egitto si colloca a questo punto della storia, introducendo nello scarno racconto dei mitografi una drammatica discussione fra Minosse e Poliido. Il re propone come legge di natura l’inferiorità del suddito rispetto al re: “Vedi? Il delfino comanda sulle onde del mare, comanda fra gli uccelli la forza dell’aquila, Zeus ha il potere supremo in cielo, e sulla terra ce l’hanno le monarchie: tu sei inferiore, sei sotto il mio potere; devi sopportare quello che ti impongo”.
La pretesa di una differenza ontologica fra re e popolo compare come questione sempre ricorrente e sempre discussa nell’Atene della democrazia: Eschilo ci mostra l’errore del re di Persia e della regina madre Atossa, che si considerano superiori ai moltissimi soldati morti per la folle impresa del re; Sofocle l’errore del nuovo tiranno Creonte, che contrappone alle ragioni di Antigone la sua superiorità di sovrano.
Nel frammento euripideo è Poliido ad opporsi alla conclamata superiorità di Minosse: “Questa non sarebbe un’affermazione corretta, in quanto diretta ad un uomo libero”. Ma la legge di natura è un’altra: “Sappilo bene: tutte le cose che la natura fa sorgere devono nascere e morire; tutto, col tempo, nasce e di nuovo muore”. Nuovamente ci imbattiamo nel tempo, che tutto modifica, fa crescere, maturare e invecchiare, ma alla fine morire.
L’accusa a Minosse comporta anche il dubbio che veramente sia figlio di Zeus chi si oppone alle leggi divine: “Non puoi essere sia figlio di Zeus, tu che sovverti le leggi stabilite e sconvolgi le norme divine per la tua arroganza. E ancora: Tu vai oltre il tuo limite, senza controlli, la colpa è della ricchezza”. Il rifiuto alla trasgressione è netto: “Sarei un folle se violassi le leggi degli dèi”.
In tutto il dibattito, che il professor Battezzato ha così interpretato e tradotto dal papiro, non compare l’impossibilità della resurrezione, bensì l’empietà della trasgressione: tutte le parole chiave, arroganza, limite, folle, ma anche ricchezza, appartengono alla sfera lessicale della hybris, il peccato per l’uomo greco: l’assenza del senso del limite, che acceca la mente e porta alla colpa e che spesso dipende da un eccesso di ricchezza o potere. È hybris la pretesa di Minosse, sarebbe hybris la resurrezione richiesta. La differenza ontologica non è fra uomo e uomo, ma fra uomo e Dio, fra i mortali e gli immortali.
Il testo del papiro non va oltre, e non possiamo sapere come Euripide mettesse in scena il resto della storia. Storia che ci viene raccontata così dai mitografi: Minosse imprigiona Poliido insieme al piccolo morto; l’indovino assiste alla resurrezione di un serpente per l’intervento di un altro serpente, che utilizza erbe o foglie o altri elementi. Poliido compie lo stesso gesto sul piccolo Glauco che rinasce e viene reso al padre. Da ultimo Minosse impone a Poliido di insegnare al figlio le sue arti, ma l’indovino fa in modo che il suo insegnamento sia dimenticato dal discepolo divenuto adulto.
Dunque, la resurrezione è possibile, pur se compiuta per forza e a rischio di colpa? E l’ultima opposizione di Poliido è il rifiuto di trasmettere al discepolo arti che portano alla colpa?
Resta ancora una domanda: come mai questo testo in una tomba? La parte compresa nel papiro sostiene la mortalità, la morte come fine; ma se la resurrezione era possibile, se, come sembra probabile, era compresa nella tragedia, era dunque questo l’intero messaggio? E naturalmente, non è che il papiro fosse solo materiale utilizzato dai sepoltori, senza interesse per il contenuto, come in molti altri casi? Non lo sappiamo, ma la coincidenza certo è attraente.
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