LETTURE/ Il “teatro”, una danza comune di tutte le lingue

- Moreno Morani

La parola teatro risale al greco théatron. Attraverso il latino theatrum la parola si è diffusa a molte lingue d'Europa, sia romanze sia di altre famiglie

maschera teatro romano web1280 640x300 Maschere teatrali romane (foto dal web)

La parola teatro risale al greco théatron. Attraverso il latino theatrum la parola si è diffusa a molte lingue d’Europa, sia romanze (italiano, spagnolo, portoghese teatro, romeno teatru, francese théâtre), sia di altre famiglie (inglese theatre, tedesco Theater, russo teatr, lituano teatras, ecc.) e non solo in Europa (armeno tʽatr, persiano teātr, indonesiano teater, mongolo teatr, tanto per citare qualche forma a caso: in hindi e altre lingue dell’area indiana thietar tradisce una provenienza inglese).

Che cosa significa esattamente la parola greca che è alla base di questa straordinaria, quasi universale diffusione del termine? L’origine è da théā, che significa “vista”, in senso sia attivo (l’azione del vedere) sia passivo (ciò che viene visto). Se il sostantivo ha un significato abbastanza generale, il verbo che ne deriva, theáomai, ha sfumature molto più intense. Il verbo, che è di forma media, cosa che denota una speciale partecipazione del soggetto all’azione, contiene l’idea di un vedere attento che si accompagna a stupore e ammirazione e tiene avvinto lo spettatore.

Da qui si passa all’idea della contemplazione, tanto di immagini reali che si presentano davanti agli occhi, quanto di concetti elaborati nella mente: “contemplando il vero, il divino e il non illusorio” (Platone, Fedone 84 a). Il participio, theōmenos, indica lo spettatore di spettacoli e giochi: chi va a teatro non mira semplicemente a trascorrere qualche ora divertente, o addirittura disimpegnata, ma vuole coinvolgersi per trarre da ciò che vede insegnamenti utili per la propria vita, perché, come ci dice il poeta comico Aristofane (Rane 1053), “il poeta tragico è per gli adulti quello che è il maestro di scuola per i ragazzi”.

Un altro termine legato a questa famiglia di parole è theōrós. In origine designa un funzionario autorevole, che ha compiti generalmente connessi al culto: il theōrós viene inviato, con incarico ufficiale, a consultare gli oracoli o portare offerte ai santuari, o comunque ha mansioni rappresentative nell’organizzazione statale. Poi la parola indica chi viaggia per vedere e conoscere e infine, con significato ancora più generale, lo spettatore. Col termine astratto theōría si indica l’invio all’estero di questi funzionari, quello che oggi nel linguaggio burocratico si chiama missione. Ma theōría è anche lo spettacolo in sé stesso: theōría sono le processioni, che per la loro bellezza e solennità esaltano lo spettatore. Poi, coerentemente coi valori assunti dalle parole a cui si collega, theōría significa anche contemplazione, anche di una proiezione ideale o del frutto di un ragionamento. Quest’ultimo senso si incontra per la prima volta in Platone, poi la parola si insedia saldamente nel linguaggio filosofico, viene ripresa nel latino cristiano e medievale e si mantiene fino a oggi diventando parola comune e produttiva attorno alla quale si è creata un’ampia costellazione di termini (teoricoteoresiteoretico, teorema e via dicendo). Anche teoria nel senso di “sfilata” è rimasto vivo nella lingua letteraria (una interminabile teoria di macchine).

Nella sua fase originaria il teatro è strettamente connesso con la religione. La tragedia è legata ai culti di Dioniso, come ci dicono diverse fonti antiche. Il teatro, e in particolare il teatro tragico, è un prodotto originale della cultura greca, un’attività che si sviluppa nella Grecia classica (in modo particolare ad Atene) e poi trova accoglienza nelle culture e nelle forme più disparate.

Al di fuori della Grecia, nel mondo antico solo in India si ha uno sviluppo del genere teatrale paragonabile per consistenza e valore artistico a quello della Grecia (il teatro indiano ha poi fatto da catalizzatore per la nascita di tradizioni teatrali in altre aree dell’Oriente). Anche in India si hanno legami tra teatro e culti, e il dramma (unica forma ammessa dalla tradizione indiana, che rifiuta di portare in scena eventi sanguinosi) inizia e si conclude con l’invocazione a una divinità. Il termine che indica l’attività scenica, nāṭya, è legato a una radice che significa “danzare”.

Se teatro prende spunto dalla visione (una visione, come abbiamo detto, di spettatori attenti e impegnati), la parola indiana fa riferimento alla forma della rappresentazione scenica, perché nel dramma indiano si fondono parola, danza e musica. Una fusione che si ha peraltro anche nel teatro greco. Due tradizioni molto diverse, che hanno percorso strade differenti, ma rimandano, in ultima analisi, a tanti elementi comuni.





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