Ma che ne sappiamo noi dell’estremo nord europeo, di queste genti iperboree che vivono sotto un cielo schiacciato, che si nutrono prevalentemente di timida luce diffusa, che hanno maggior dimestichezza con la placida oscurità e hanno per fedeli compagni vaste solitudini e densi silenzi? Che ne sappiamo della Scandinavia (posto che sia parola utile a cucire insieme Paesi così diversi come Islanda e Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia), dei suoi gelidi mari su cui per secoli hanno scorrazzato le navi vichinghe, di quelle inospitali lande dove il monaco Ansgario e i due re Olaf portarono e diffusero la Buona Novella, qui, in uno degli estremi confini della terra?
Nel poco che sappiamo di questa porzione di terra “barbara” c’è che qui è stato ideato oltre un secolo fa il Grande Slam della cultura a cadenza annuale, il Premio Nobel, il collegio giudicante più celebre della letteratura mondiale il quale, nel 2023, ha decretato vincitore uno scrittore norreno molto noto agli addetti ai lavori (editoriali e teatrali), molto meno ai lettori comuni. E da allora quello di Jon Fosse è un nome diventato un po’ meno esotico nelle nostre librerie. Non è nostro intento soffermarci sullo stile liquido e sulle tematiche interiori del suo scrivere e poetare, bensì su un aspetto personale di questo poeta-scrittore-drammaturgo della Norvegia occidentale, come lui tiene spesso a precisare (leggi la Norvegia dei fascinosi fiordi): la sua identità religiosa. Fosse è membro, per scelta adulta, cioè per conversione, della comunità cattolica del Paese, che costituisce appena il 5% della nazione.
Come ha raccontato di recente il vescovo di Trondheim, il cistercense Erik Varden al Il Foglio, nella Chiesa norvegese si avverte una rinnovata vitalità trasversale, che coinvolge anche molti giovani (Fosse non è tra questi, avendo 65 anni) e anche una rinnovata coscienza post-secolarizzata, che spinge la piccola comunità cristiana a non inseguire più i tanti falò spenti o morenti della cultura mainstream contemporanea bensì a rivolgersi alle fonti, alle radici vive della propria fede. Il libro-intervista di Jon Fosse Il mistero della fede (Baldini & Castoldi, un dialogo avvenuto 10 anni fa, prima del Nobel) sembra trascrivere, in chiave biografica, tale imprevisto fenomeno di reviviscenza cattolica in questa algida periferia del settentrione europeo.
Nel cusaniano “Adoro perché non conosco” o nel “Credo quia absurdum” tertullianeo rivendicati da Fosse si avvertono fresche le cicatrici lasciate dalla sbornia dell’iperrazionalismo ideologico dominante negli scorsi decenni, ma lui – che è un artista, e non va dimenticato – non s’è parcheggiato, per reazione, in uno scriteriato irrazionalismo, piuttosto prende molto sul serio quelle parole, fissate 1700 anni fa a Nicea e che i fedeli odierni ripetono a ogni messa: “et invisibilium”. Cioè, della realtà creata da Dio fanno pienamente parte anche tutte le cose a noi invisibili, non solo quelle che si offrono ai nostri occhi misuratori e calcolatori. Il Deus absconditus, quello che nec lingua valet dicere, nec littera exprimere, è al centro della fede di Fosse, non a caso ammiratore del mistico medievale Meister Eckhart, ma anche di Heidegger e Wittgenstein, di Rilke e Trakl.
Nato nell’ambiente luterano della Chiesa di Stato norvegese, divenne poi un radicale di sinistra, per breve tratto ateo e comunista, è stato preda dell’alcol e del tabacco, ha frequentato i quaccheri, si sente ancora oggi un severo critico del capitalismo e considera la Chiesa cattolica un luogo di resistenza all’attuale modus vivendi della contemporaneità improntato a consumismo e culto del denaro. Il lungo dialogo-intervista di questo scrittore dallo stile decisamente minimalista e pianeggiante – per reverenza nei confronti del linguaggio e della parola, non per moda – si inerpica per tematiche molto varie, su talune delle quali i suoi giudizi sono viceversa molto netti e sferzanti.
Ne citeremo alcuni, a cominciare da quelli sul luteranesimo norvegese di Stato: “Ma non potrebbero dare alla gente il mistero della fede invece della musica rock? Dare ciò che solo la Chiesa e Cristo possono offrire, e non quello che il comune o il centro commerciale possono dare altrettanto facilmente? (p. 87) … Le chiese protestanti si sono autodistrutte a causa del loro continuo oscillare per rimanere in sintonia coi tempi. È evidente: i Paesi e le aree geografiche protestanti sono diventati in pratica agnostici o atei, con la chiesa ridotta a una specie di mero cerimoniere” (p. 143). A fronte di tali esplicite considerazioni, Fosse ribadisce il suo estremo riserbo, fondato filosoficamente ed esistenzialmente, riguardo alle parole della fede: “Sono molto cauto nell’usare termini come Dio, Gesù Cristo, Spirito Santo. Sono molto attento e riservato in proposito. Nutro un profondo rispetto. Preferisco pronunciare queste parole insieme agli altri durante la messa o come parte delle antiche preghiere fisse che recito, come il Padre Nostro… Non sono termini per laici come me. O per un grande peccatore come me. Uno scapestrato che vive ai margini. Ma sono grato di poter far parte della comunità cattolica, di poter andare all’altare e fare la comunione, partendo dall’ultimo banco” (p. 114).
Uomo di paradossi e di devoto ossequio al mysterium fidei: “Sono solo una povera anima d’artista, e l’arte e la dogmatica sono agli antipodi, ma è bello poter condividere la fede con gli altri, inginocchiarsi davanti al sacro, andare a fare la comunione insieme agli altri miserabili come me” (p. 82).
Su questioni “mondane” Fosse, pur continuando a dirsi radicale di sinistra, non è certo ascrivibile al progressismo mainstream: “Per quanto riguarda la scala dei valori, presento tratti decisamente conservatori, dunque preferisco la cosiddetta letteratura seria ai gialli, preferisco Bach ai Beatles e sono particolarmente interessato alla tutela di vecchie abitazioni e barche, alla preservazione di vecchi vocaboli affinché non vengano dimenticati” (p. 130). Dove Fosse si infiamma è sull’Unione Europea, che gli vieterebbe, se la Norvegia entrasse nell’UE, lo snus, tabacco per uso orale, unico vizio rimastogli dopo lo stop ad alcol e fumo: “Sì, sono felice di avere lo snus. Bisogna pur avere qualcosa. Oltretutto per me è un buon motivo per essere contrario all’Unione Europea, visto che all’interno della UE non è permesso venderlo. Mai vista un’ingerenza maggiore su come debba vivere la gente! L’intero progetto della UE è antieuropeo, l’essenza dell’Europa è la diversità, in tutti i sensi, mentre l’UE rappresenta se non proprio l’uniformità, sicuramente l’omologazione… Io sono un grande sostenitore dell’Europa ed è proprio per questo che sono contro la UE” (p. 69).
La fine del dialogo però è la più fedelmente riassuntiva del senso del libro: “La cosa grande, ciò che mi rende cattolico, è il mistero della fede. È vero, lo dico con la mano sul cuore. E ogni giorno si può prenderne concretamente parte. La grandezza della Chiesa cattolica sta nel fatto che, nonostante tutto, è riuscita a preservare e trasmettere questo mistero. Anche a me” (p. 165).
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.