Il mio rapporto con Dante e la Divina Commedia comincia con un fallimento, un autentico fallimento da parte mia, incolpevole ma vero. Del quale forse farei meglio a non parlare; ma in questo modo non avrei altra maniera di avviare un qualunque discorso sull’argomento che pure mi sta a cuore.
Cominciai a frequentare la scuola media nel 1934 al Collegio “Don Mazza” di Verona, venendo da un percorso alle elementari dove ero considerato senza confronti il “primo della classe”. Nei tre anni successivi continuai a meritare un analogo giudizio che, con qualche allentamento nel ginnasio, tornai a ottenere nel liceo, frequentando le scuole del seminario. Con questo arriviamo al 1942 e agli esami di maturità che, con alcuni altri giovani del Mazza, dovetti affrontare al Liceo “Maffei” come privatista e “senza una preparazione minimamente degna di questo nome”. Non è il caso che ne spieghi le ragioni, ma per il momento mi si può credere sulla parola. Alla fine, fui dichiarato “maturo”. Per merito, io credo, di tre anticlericali componenti la commissione per le materie scientifiche, che mi avevano preso in simpatia.
Il fallimento avvenne nella maniera più plateale proprio sulla Divina Commedia e sul Paradiso, di cui mostrai di non conoscere le linee essenziali e i contenuti più importanti e conosciuti. Il commissario di italiano, che comprese la situazione, intervenne poi, a livello personale, suggerendomi la lettura del volume su Dante, scritto da Zingarelli ed edito nella collezione di Letteratura italiana della Vallardi. Quella divenne la mia ancora di salvezza. Il volume dello Zingarelli era, per il tempo, una lettura scorrevole, piana e da ogni punto di vista soddisfacente. Mi iscrivevo allora all’Università Cattolica per il primo anno di filologia classica e, contemporaneamente, prendevo coscienza di essere, al di là della fama che mi accompagnava fin dalle elementari, un perfetto ignorante nei confronti del più grande dei nostri poeti e Padre della nostra lingua. La mia decisione fu allora fulminea e senza dubbi. Trassi allo scoperto i tre volumi della Divina Commedia con il commento di Luigi Pietrobono e, per tre mesi, mi dedicai allo studio di Dante, un mese per ogni Cantica. Appena terminato questo primo approccio, tornai a percorrere le tre Cantiche, senza commenti questa volta e assegnando una settimana alla lettura dell’Inferno, una alla lettura del Purgatorio e una terza alla lettura del Paradiso. A questo punto mi fermai a riflettere.
In circa centoundici giorni avevo letto con attenzione per due volte un testo di cui prima non conoscevo che alcuni canti dispersi. Voglio essere sincero: mi sentivo esattamente lo stesso ignorante di prima, ma con un rimorso in meno. Fu allora che misi in atto la pazzia più folle che mai mi sia capitato di sognare. In tre giorni, una Cantica per giorno, rilessi per la terza volta la Divina Commedia di Dante Alighieri. E soltanto allora, come mai mi avvenne dopo, nonostante tutto lo studio appassionato dedicatole negli anni, ebbi l’impressione di essermi, con tutte le riserve possibili, impossessato di un tesoro che ora mi apparteneva. Non mi è mai successo di incontrare qualcuno che abbia avuto un approccio al Poema simile al mio, ma non credo che solo per questo il mio sia stato un approccio sbagliato. Comunque esso ha guidato senza pentimenti la mia continua riflessione su Dante e il mio impegno di docente negli oltre trent’anni di insegnamento nelle scuole superiori. Mi fa riflettere, devo ammetterlo, il lavoro di quel grande studioso prematuramente scomparso che fu Giorgio Padoan, il quale nel suo Il lungo cammino del Poema Sacro analizza magistralmente appunto la vicenda storica della Divina Commedia lasciando poco spazio, sembrerebbe, a una lettura più compatta dell’opera dantesca.
A suo tempo ho letto con attenzione e con vero interesse lo studio di Padoan, e ammetto che la sola idea che l’opera sia nata a brani e in tempi diversi, sembra negare ogni legittimità alla mia tesi. Eppure, non trovo che alcune precisazioni sui “tempi” di quella sinfonia che è la Commedia, bastino a inficiare l’armonia e la coerenza dell’insieme. Quello che avevo colto, infatti, era “lo spirito della Commedia”, al di là delle spiegazioni, delle valutazioni, degli entusiasmi e delle possibili denigrazioni. Quello spirito mi guidò sempre nel mio studio di Dante. E nell’insegnamento. Nei primi tre anni del liceo classico, i programmi scolastici richiedevano lo studio solo di alcuni canti di ciascuna delle tre Cantiche. In classe, io leggevo e commentavo, drammatizzando come un Benigni domestico, tutta la Cantica: 34 o 33 canti. Non c’è dubbio che questo metodo avesse origine da quella mia prima lettura del testo dantesco. Anzitutto perché rimandava senz’altro all’unità del poema e alla sua coerenza interna e, in secondo luogo, perché su ogni altro interesse privilegiava la lettura del testo. I pochi canti studiati precedentemente si collocavano nel contesto, dove solamente rivelavano il loro senso e la loro funzione, e i nuovi episodi che affrontavo davano il giusto rilievo agli “alti e bassi”, al “pieno e sfumato” della narrazione, assumendo ciascuno il proprio “peso”.
A un certo punto mi soccorse, per fare la sua parte, lo studio della teologia, componente essenziale del mondo dantesco e della poesia della Commedia. E la semplice lettura di questo mio lavoro basterà a dire quanto io ritenga essenziale per la comprensione non solo del Paradiso, ma di tutte le tre Cantiche del Poema dantesco, la conoscenza e l’utilizzazione della teologia. Tornando alla mia esperienza, riconosco senza difficoltà i limiti e le contraddizioni del mio percorso nell’accostamento a Dante. Ma mi si permetterà anche di dire che proprio quel mio approccio così irrituale mi permette di identificare aberrazioni che menti ben più eccelse della mia si permettono di proporre oggi, in occasione del VII Centenario del Poeta: che “la Divina Commedia è un mistero”. Ma quale mistero?
È un libro densissimo, confluenza di esperienze diverse, amalgama di culture e di modi di pensare differenti, raccolta di elementi forniti dalla storia, dalla leggenda, dal costume e comunque dalla vita vissuta, condensazione di tutta la cultura e di tutti i libri del passato. E tuttavia è un libro attraversato, come da una lunga lama sguainata, dalla più esigente e coerente narrazione di una vita umana, capace di assurgere a icona di un uomo e di un credente alla ricerca del senso vero dell’esistenza. Un credente vissuto quasi un millennio addietro, ma che parla agli uomini di sempre, additando loro un percorso di salvezza dentro le contraddizioni della storia e le ostilità di qualunque tipo. Un uomo che non ha nulla che lo faccia diverso da tutti gli altri uomini, e che pure ha pensato e scritto un Poema di una universalità esemplare e senza confronti, un poema cui è difficile dare un titolo, perché qualunque titolo non basta a definirlo ma, soprattutto, perché in fondo si rifugge dal dedicargli l’unico titolo che davvero lo potrebbe cogliere: La vera storia dell’anima di Dante Alighieri: da poeta d’amore, a poeta della ricerca di Dio, fino all’incontro con Lui al vertice della contemplazione.
La possibilità di leggere il Poema tenendo presente il dramma dell’autore che soffre quello che scrive, mi è parsa alle volte così convincente, da tentarmi a spiegare certe “lentezze” a mezzo del Purgatorio, come il riflesso di analoghe stanchezze nel percorso del cammino spirituale. L’inserimento della menzione dei mistici spagnoli alla fine del mio lavoro, comunque la si giudichi, ha una origine analoga. Mi scuso di tentare la sintesi impossibile. Nell’Inferno il poeta percorre l’intera esperienza del peccato. Da quel primo ambiguo tremito – ma solo un punto fu quel che mi vinse – alla finale perdita della corporeità nell’ultima zona di Cocito. Nel Purgatorio egli insegue il cammino della grazia divina: dalla salvezza di Manfredi di cui cancella gli “orribili” peccati alla soglia della morte, fino agli ultimi stadi del secondo regno, ormai percorsi dal fremito della gloria. Nel Paradiso Dante osa affrontare il mistero della Gloria, dalla trasfigurazione di Piccarda Donati alla esaltazione delle anime contemplanti. La preghiera di san Bernardo a Maria e il primo incontro con il mistero del Dio uno e trino, concludono un Poema che è la sintesi della storia. Della storia di Dante e della storia dell’uomo.
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