Come mai, si chiede lo scrittore francese Sylvain Tesson? Come mai a Parigi e in tutta la Francia (e in tutta Europa) il rogo di Notre-Dame nel 2019 ha suscitato disperazione e sconcerto? Dopotutto i benpensanti in Europa occidentale negano le radici cristiane del vecchio continente, ridicolizzano la fede di una volta e rifiutano con sdegno la visione del mondo che da essa proveniva. Dicono perciò che si tratti di un danno di carattere patrimoniale… “Ma Notre Dame non è un monumento. È una chiesa e l’incarnazione calcarea del Verbo”. Sguardi sbigottiti davanti alle fiamme e alla flèche che crollava, ragazzi che cantano sul sagrato, francesi (francesi!) in ginocchio per strada… Ma allora viene da pensare che tre secoli di laicismo rabbioso non abbiano inaridito ogni cosa e che, sebbene soffocata dal materialismo e dal feticismo tecnologico, la fonte sia ancora viva (Sylvain Tesson, Notre-Dame de Paris. Ô reine de douleur ô reine de victoire, Paris 2024).
L’incendio di Notre Dame è considerato un segno di contraddizione anche da Ernesto Galli della Loggia (ripreso da Franco Cardini, Notre-Dame. Il cuore di luce dell’Europa, Milano 2020), per il quale “la minaccia di vedere in cenere una delle icone della cristianità” è stata sufficiente a suscitare nell’opinione pubblica europea “un sussulto di autocoscienza identitaria”, con paradossale, immediato coinvolgimento di élite politiche e culturali fino a un attimo prima allineate sulle posizioni più secolariste.
In quest’ultima categoria potrebbe essere incluso lo stesso Emmanuel Macron, che si è impegnato solennemente a restituire Notre-Dame alla Francia e al mondo entro cinque anni, a onor del vero mantenendo la promessa; anche grazie all’enorme entità delle donazioni che sono state destinate da privati al finanziamento del cantiere, a riprova di quanto si diceva poco sopra.
Simbolo della Francia medievale, Notre-Dame, nel Settecento, ancora prima che infuriasse la Rivoluzione, è stata umiliata con interventi indecorosi da ecclesiastici e laici che, per cultura e gusto estetico, non tolleravano più il suo aspetto medievale (uno scempio toccato in misura maggiore o minore a tutte le cattedrali francesi: si vedano in merito i duri giudizi di Jean Gimpel).
In seguito, ha dovuto subire l’odio cieco di chi l’ha considerata l’emblema di un mondo da abbattere: profanata senza scrupoli dai giacobini del 1789, è stata nuovamente vittima del vandalismo blasfemo nella rivoluzione del 1830 e durante la sanguinosa Comune di Parigi del 1871. Ma a questa data Notre-Dame era già stata “riscoperta” dai parigini anche grazie al celebre romanzo di Victor Hugo (1802-1885), ed era risorta dal suo stato di fatiscenza soprattutto ad opera del discusso, ma comunque geniale, architetto Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879).
La storia dell’ultima rinascita di Notre-Dame, quella alla quale abbiamo da poco assistito, è stata però, se possibile, ancora più appassionante di quella ottocentesca, proprio per la reazione corale con la quale la Francia di oggi ha saputo affrontare la sfida, quasi ritrovando, per un momento, la continuità con le sue radici culturali e religiose.
Perché la cattedrale che si erge al centro di Parigi, nell’Île de la Cité, come su un favoloso piedistallo, può essere considerata il compendio del passato della Francia, un passato forgiato dalla fede alla quale la Francia ha voltato le spalle, ma di cui tuttavia non può fare a meno senza smettere di essere se stessa.
Come ha osservato Michel De Jaeghere nell’editoriale che introduceva il numero speciale dedicato da Le Figaro alla “passione e resurrezione” di Notre-Dame, la prospettiva del crollo della cattedrale ha fatto balenare per un istante l’esito ultimo del rinnegamento, la visione di un mondo del tutto conforme alla società francese attuale ed è stata una sensazione evidentemente insopportabile. Forse anche in conseguenza di ciò si è compiuto un miracolo: prima il coraggio dei pompieri e poi la straordinaria passione dimostrata da architetti, artigiani, tagliapietre, vetrai, carpentieri (che hanno lavorato il legno con l’ascia, secondo le tecniche in uso nel Duecento!) e da tutte le squadre di lavoratori che hanno preso parte alla ricostruzione.
Miracolo nel miracolo: la tentazione di “lasciare una traccia contemporanea”, attraverso qualche assurda trovata di dubbio gusto e vuota di significato, in stridente contrasto con un monumento che parla di eternità, è stata felicemente accantonata a favore di un amoroso rispetto di quanto ci è stato trasmesso dai secoli passati (un velo pietoso sul nuovo altare e su altre scelte fatte dall’arcidiocesi di Parigi, come la suppellettile liturgica e i paramenti).
Dall’immagine di desolazione dell’aprile 2019, è infine scaturita una cattedrale circonfusa di nuova bellezza e di luce splendente. Si tratta di un messaggio al nostro mondo disorientato: “nulla è rinchiuso nella fatalità; al fondo dell’abisso si trova il richiamo della luce” (M. De Jaeghere).
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