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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Maisano e l’Odissea (in esametro), fedeltà e novità di nuovo in “viaggio”

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LETTURE/ Maisano e l’Odissea (in esametro), fedeltà e novità di nuovo in “viaggio”

Tommaso Ricci
Pubblicato 3 Novembre 2025
Ulisse e le sirene, mosaico del III secolo (particolare

Ulisse e le sirene, mosaico del III secolo (particolare

Riccardo Maisano ha ritradotto l’"Odissea" di Omero tenendo ferme fedeltà alla lettera e leggibilità ammodernata. Una storia che ridiventa nuova

“Questo cantava l’illustre cantore, ed allora Odisseo
il grande manto scarlatto afferrò con le mani gagliarde,
se lo tirò sulla testa e nascose così il suo bel volto.
Si vergognava a versare le lacrime innanzi ai Feaci”.

Bisogna immaginarsi la scena, canto VIII dell’Odissea. Ulisse, da naufrago ancora in incognito presso la corte di re Alcinoo, assiste al racconto dell’aedo Demodoco di un fatto risalente alla guerra troiana e riguardante lui stesso, cioè un suo litigio con Achille. Ascolta dunque, commosso, un episodio della sua vita – praticamente un pezzo di Iliade inserito nell’Odissea, che ne è piena, un’epopea del riciclo – sebbene nel testo iliadico non se ne parli. Lui però l’aveva vissuto e la sua irrefrenabile commozione è preludio al suo disvelamento.


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Seconda scena, canto I. L’aedo Femio, a Itaca, declama davanti ai Proci, che hanno occupato la reggia di Ulisse, le vicende, perlopiù amare, del ritorno a casa degli achei vittoriosi sui troiani e Penelope subito lo prega di cambiare canto:

“Cantane uno seduto dinanzi a costoro, e in silenzio
bevano il vino frattanto, però questo canto interrompi
lugubre, che dentro al petto dà sempre tormento al mio cuore”.


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Ma non sono qui tanto le scosse emotive che investono marito e moglie all’ascolto dei due cantastorie a interessare, quanto la circostanza dell’ascolto pubblico.

Da secoli ormai siamo abituati (si fa per dire, magari!) a leggere i poemi omerici in silenzio, a far interagire privatamente le nostre emozioni e riflessioni con la lettura del testo scritto, ma nei tempi antichi quelle storie erano affidate alle doti mnemoniche, declamatorie e affabulatorie dei cantori e alle capacità uditive della platea.

Be’, questo si sapeva, il passaggio dall’oralità alla scrittura, e dunque dall’ascolto collettivo alla lettura individuale, è momento cruciale nello sviluppo di ogni civiltà.


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Ma cosa comporta questa diversa modalità di fruizione d’un racconto, per un traduttore dal greco antico? I più anziani hanno tuttora in memoria lacerti di quei poemi, come il montiano incipit “Cantami o Diva del Pelide Achille l’ira funesta…” o le traduzioni, molto adottate a scuola, di Rosa Calzecchi Onesti, propiziate e lodate da Cesare Pavese.

Le versioni dell’epica omerica sono state innumerevoli e tutte, come ogni traduzione, sono in bilico tra fedeltà alla lettera originale, ai contenuti e alle scelte lessicali aggiornate alla lingua del tempo (non consideriamo qui le traduzioni, anch’esse numerose, televisivo-cinematografiche: c’è viva attesa per la versione di Christopher Nolan, nel 2026).

(Pixabay)

Ma c’è un elemento in più, che può intuire meglio chi pratica il canottaggio: la qualità della vogata dipende non solo dall’energia ma anche dal ritmo. E l’inesausto errare di Ulisse nel Mediterraneo si compie al suo peculiare ritmo narrativo: è l’esametro dattilico, un tipo di tessitura metrica incalzante, costantemente proteso verso la fine del verso.

La nuova traduzione dell’Odissea realizzata da Riccardo Maisano (che ha curato per Edizioni di Storia e letteratura anche l’introduzione e le note, testo greco a fronte, pp. 873, impresa davvero omerica) inserisce, tenendo ferme fedeltà alla lettera e leggibilità ammodernata, anche il “computo metrico” dell’esperienza di viaggio-lettura del poema, accoglie il lettore a bordo del vascello narrativo omerico facendolo veleggiare alla cadenza originaria – e dunque alla velocità – di quei dodicimila perlopiù acquatici versi, di cui Nikos Kazantzakis evocava quasi lo sciabordio e gli spruzzi: “Mi immersi di nuovo nella lettura di Omero, come se cercassi rifugio sulle ginocchia del vecchio Progenitore, presero a scorrere come onde i versi immortali e a frangersi sulle mie tempie”.

Leggendo la traduzione di Maisano il lettore può mettersi dunque al passo degli aedi Demodoco e Femio, agli stessi nodi nautici dei tanti cantori greci che hanno tramandato oralmente l’intera epica omerica alle generazioni successive fin quando l’epopea, con quel ritmo, s’è impressa su carta, diventando libro, uno dei Libri fondanti della civiltà occidentale.

Sono davvero tanti i motivi per (ri)prendere in mano pagine che, nonostante l’abisso temporale, fungono tuttora da specchio e da lente sulla nostra umanità, personale e collettiva, come abbiamo sperimentato qualche anno fa con lo splendido romanzo-memoir di Daniel Mendelsohn Un’Odissea (Einaudi 2018): “Sento di non aver mai davvero conosciuto mio padre finché non ho cominciato a leggere seriamente i classici” (p. 45), o con le suggestive riflessioni psicanalitiche su Telemaco anti-Edipo di Massimo Recalcati. Ma bastava anche fermarsi al grecista prussiano e “omerologo” Friedrich August Wolf, per il quale addirittura la mera filologia, di cui fu il padre, è via maestra per giungere a una comprensione profonda delle facoltà intellettuali, sensuali e morali dell’uomo.

Nei ripetuti naufragi mediterranei di Ulisse si riflettono i nostri molteplici naufragi odierni, ma quella sua indomita pulsione verso Itaca traina il nostro inconsapevole, profondo desiderio di tornare a casa: adottando l’andatura omerica se ne amplifica la scia emotiva.

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