Ne succedono di cose strane, nei cimiteri. E, del resto, esiste un luogo letterariamente più interessante e più ispiratore del camposanto? In effetti, e a dispetto di chi potrebbe, superficialmente, considerarlo un posto dove ci si può imbattere sempre nei consueti tipi umani impegnati in uno spettro assai ridotto di attività (piangere o pregare), è invece pressoché illimitato lo spettro delle possibilità che possono verificarsi fra quei lindi vialetti bordeggiati da croci e lapidi, e punteggiati di omaggi floreali lasciati dai vivi.
Si va dal cordoglio disperato di chi ha perso una persona cara, alla dolce malinconia del viaggiatore o del poeta che medita sulla caducità della vita, sino a esiti di sapore horror, grottesco o, infine, tragico. Per non parlare, poi, del fatto che esistono cimiteri e cimiteri: non vi sono anche, talvolta, delle autentiche “tombe di ghiaccio”?
Uno degli autori più versatili della letteratura l’Oltralpe, più volte tornato alla tematica cimiteriale, è Guy de Maupassant, il campione della novellistica francese del XIX secolo. E di Guy de Maupassant (1850-1893) sono le sei novelle raccolte nell’antologia intitolata Racconti in nero (Ares, 2024), tradotte da Silvia Stucchi, autrice anche della ricca e originale Introduzione, anticipata dall’Invito alla lettura di Giuseppe Conte.
Maupassant (1850-1893) fu autore di centinaia di racconti: la forma narrativa breve gli fu particolarmente congeniale, e in essa egli mise in atto un sistematico superamento non soltanto del Realismo, ma anche del Naturalismo. Maupassant ebbe infatti come maestro e punto di riferimento Flaubert, amico di infanzia della madre e vicino alla famiglia.
Ma rispetto a Flaubert, con la sua “acribia descrittiva” (G. Conte), Maupassant rigetta un realismo di stampo semplicemente fotografico, si attiene a notazioni sensoriali più contenute, ma in grado comunque di restituirci situazioni e personaggi in maniera felice e profonda. Preferirà sempre la sintesi all’analisi e lo dimostrerà con una serie incredibile di racconti che, in poche righe, delineano un luogo, un personaggio, una situazione, e in poche pagine raccontano una storia non meno memorabile perché breve.
Temperamento sanguigno e passionale, ma anche scettico e razionalista per quanto concerne le sorti dell’uomo dopo la morte e la sua vita spirituale, Maupassant ci illustra in questa per forza di cose brevissima selezione dei suoi racconti il suo concetto della morte – e, per contrasto, della vita stessa: in alcuni casi, troviamo accenti di assoluta disperazione, come nell’Attendente, un racconto brevissimo che, attraverso l’artificio della lettera consegnata al destinatario dopo la morte della scrivente, ci illustra tutta la bassezza dell’animo umano.
Invece, nella Tomba troviamo uno dei temi più congeniali a Maupassant: l’amore, e la sua fine. Qui, in particolare, l’autore mette in scena gli eccessi cui può condurre un cuore esacerbato dalla perdita della persona amata, anzi, adorata, nello specifico, un giovane avvocato molto noto nella sua città che, apparentemente, si è reso colpevole di un crimine ripugnante.
Altrove, come nel Tic, troviamo un racconto in cui la tensione drammaturgica (verrebbe da dire proprio così) si stempera nel finale e si affloscia in una risata liberatoria, ma a denti stretti; in un’altra occasione, invece, la risata liberatoria diventa acido sberleffo e sarcasmo (La morta; Le tombali).
Ma, come dicevamo sopra, non esistono solo i cimiteri dove la lapidi sono ordinatamente disposte l’una accanto all’altra: esistono anche particolarissimi cimiteri, come le tombe di ghiaccio. L’ultimo e più lungo racconto di questa insolita silloge, La locanda (da cui, questo possiamo spoilerarlo, ha tratto ispirazione Stephen King per Shining), è infatti ambientato in un lindo cantone delle montagne svizzere, in un ameno villaggio in cui vivono i proprietari di una locanda che nei mesi invernali resta isolata a causa della neve; per la prima volta, al vecchio custode, che si è fatti tutti gli inverni in totale solitudine, viene affiancato un giovane, che dall’anno successivo prenderà il suo posto.
I due, da coinquilini pragmatici e organizzati, dapprima si dividono compiti e incombenze, e si preparano a trascorrere secondo una routine ben scandita quei lunghi mesi di clausura; ma qualcosa va storto: il più anziano, l’esperto, un giorno esce a caccia nel biancore accecante di neve e ghiacci. Non ritornerà mai più. E il giovane, lentamente, ma inesorabilmente, si persuaderà che il vecchio sia tornato, in spirito, da lui, per tormentarlo.
Maupassant è un mago nel raccontare il montare della tensione, l’inquietudine che diventa paura, e la paura che sfuma, a sua volta, nel terrore: e poco importa se tutto quel che accade, per noi lettori, a differenza di quelle che sono le sensazioni del protagonista, ha una spiegazione logica e razionale; anche noi dobbiamo tremare, e assistere allo sprofondamento, per gradi ma ugualmente inesorabile, del protagonista nella follia.
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