“Morte nell’era nucleare. Il realismo politico di fronte alla bomba atomica” raccoglie un fondamentale dialogo tra Hans J. Morgenthau e R. Niebuhr
Sono passati ottant’anni dai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Una ferita grave nel cuore del Giappone e di tutta l’umanità. La portata e la gravità dell’accaduto sono state spesso ricondotte a narrazioni utilitaristiche e strategico-militari volte a spiegare la necessità dell’uso delle bombe atomiche.
La potenza distruttiva delle armi è stata anestetizzata dal raggiungimento della vittoria militare sul potere dei samurai, incapaci di arrendersi. Il volto irripetibile dell’innocente ucciso, diventato ombra, è stato nascosto dal numero dei morti.
L’umanità ha fatto un salto radicale, entrando nell’era nucleare. Un’età in cui la ragione ha perso la sua sedicente purezza, diventando strumento della potenza tecnico-distruttiva. “L’era nucleare ha cambiato il rapporto dell’uomo con sé stesso. E lo ha fatto dando alla morte un nuovo significato” (Morgenthau).
Il super-delitto uccide, infatti, masse di uomini, distruggendo la qualità e la specificità del singolo. La notte atomica annulla tutto, livellando ogni essere. Scompare il valore di Patroclo o di Achille, compare il buio che occulta tutto. Il centro è la distruzione dell’arma, non più l’uomo con la sua unicità.
Ha avuto inizio, perciò, un nuovo periodo storico, inedito e minaccioso, in cui Thanatos ha rivelato il suo potere di nichilismo quantitativo.
Oltrepassando l’alta marea dei discorsi retorico-omissivi a loro contemporanei, due grandi studiosi hanno intravisto il significato del mutamento storico prodotto dall’uso della bomba contro i civili. Hans J. Morgenthau, pensatore politico, e Reinhold Niebuhr, teologo protestante (entrambi di scuola realista) hanno preso di petto il problema della tecnologia nucleare, in ordine alle relazioni internazionali e all’esistenza stessa della comune umanità. La loro coscienza critica ci accompagna nel mondo nuovo inaugurato dalla pulsione di morte. I due autori indicano a tutti la strada di un attraversamento possibile, per evitare l’inferno nucleare. Si tratta di usare, innanzitutto, le vere virtù politiche: prudenza e saggio egoismo.
Possiamo seguire il percorso della necessaria “coscienza atomica” grazie allo straordinario lavoro di Luca G. Castellin, che ha tradotto in italiano alcuni preziosi testi dei due studiosi, raccogliendoli nel volume Morte nell’era nucleare. Il realismo politico di fronte alla bomba atomica (Morcelliana-Scholé, 2025). Si tratta di scritti che furono pubblicati dopo i bombardamenti atomici e di un interessante dialogo tra Morgenthau e Niebuhr su L’etica della guerra e della pace nell’era nucleare (1967).
I testi descrivono l’urgenza e la cogenza di un’etica delle relazioni internazionali fondata sul principio di cautela. Niente massimalismi o idealismi astratti: la minaccia è per tutto il genere umano. Nell’era atomica non esiste vittoria possibile: annientamento fisico e/o morale sono gli esiti certi. La ragione nucleare, insomma, è il passivo del pensiero, la distruzione della vita.
Niebuhr parte con realismo, nella sua riflessione, dall’intrinseca contraddittorietà della natura umana. Nel dibattito con Morgenthau, a proposito della guerra in Vietnam fa notare che i principi nobili e astratti dell’idealismo wilsoniano nascondono la realtà del prestigio nazionale e l’inconfessabile importanza del potere imperiale.
Morgenthau, invece, dirige la sua critica direttamente ai leader. I capi sono interessati al loro potere personale e non ai destini dei popoli o dei singoli: “la guerra viene portata avanti per preservare il prestigio dei nostri leader, perché non sono abbastanza forti da confessare di aver commesso un errore e prendere provvedimenti per porvi fine”.
Niebuhr ritiene che il fuoco della guerra sia acceso dal male ideologico. Invita, perciò, a diffidare dalle decisioni moralistiche: “è significativo che l’uomo moralista sia considerato il principale artefice del male perché è inconsapevole del male che si annida nel suo bene”.
Rispetto alla guerra in corso in Vietnam e al disordine nelle relazioni tra gli Stati, Morgenthau propone a tutti i protagonisti politici “una diplomazia intelligente”, la chiave necessaria per evitare il disastro collettivo. Tale diplomazia consiste nel “creare interessi comuni” e conciliare “quelli antagonistici”. L’ostacolo all’avverarsi delle speranze comuni e ad un approccio pragmatico è dato, però, dalle potenze nucleari stesse: gli USA sono convinti di essere il bene sommo e l’URSS ha una visione fanatica e assoluta della statualità.
Per Morgenthau il rischio nucleare reale ha portato all’ultima fermata le posizioni dogmatiche. “Le religioni del marxismo e della democrazia universale sono al capolinea. Stiamo sentendo gli ultimi echi del wilsonianismo e del marxismo-leninismo”. La fantasiosa teoria dell’effetto domino utilizzata dagli strateghi americani (se cadrà il Vietnam, uno dopo l’altro gli Stati asiatici saranno soggiogati dal comunismo), peraltro, ha tratti simili al dogmatismo comunista.
La coesistenza tra le potenze, dunque, non solo è necessaria, ma possibile grazie al realismo. La democrazia è un aiuto a combattere le ingiustizie, ma questo obiettivo legittimo e necessario è frutto di un lavoro di lunga durata e di un processo complesso, non di un’asserzione tassativa scortata dalle armi.
Niebuhr è pienamente consapevole della natura umana. Rifiuta in toto sia l’ottimismo sconsiderato che il cinismo spregiudicato. Non è, inoltre, un pacifista assoluto. L’uomo ha bisogno di argini che limitino la sua hybris. Ritiene, però, che di fronte ai rischi dell’azzardo morale, cioè del first strike, sia necessario un “patto solenne” tra le potenze “per non usarle mai per primi”. Un accordo strutturale del genere – non semplice, ma necessario e decisivo – implica “un punto di trascendenza morale”.
Tutti i potenti, insomma, sono sfidati a guardare la realtà profonda e vera della vita: il destino dei popoli, dei singoli e il loro.
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