L’intervento del teologo americano George Weigel alla presentazione de Il Concilio Vaticano II spiegato ai miei figli di Luca Del Pozzo
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la traduzione dell’intervento tenuto da George Weigel il 15 maggio 2025 presso la Biblioteca Angelica di Roma, in occasione della presentazione del nuovo libro di Luca Del Pozzo, “Il Concilio Vaticano II spiegato ai miei figli” (Cantagalli, 2025).
Buonasera.
Permettetemi di iniziare congratulandomi con Luca Del Pozzo per avere figli che leggono un libro di 715 pagine!
Abbiamo appena assistito all’elezione di Papa Leone XIV. Egli ha preso il nome del grande Leone XIII, che ha inventato il papato moderno come ufficio di insegnamento e testimonianza morale. Leone XIV potrà seguire la “traiettoria” leonina del papato su scala globale grazie al Concilio Vaticano II, che è stato il prodotto delle dinamiche intellettuali e pastorali che hanno plasmato la Chiesa mondiale durante, dopo e in larga misura grazie all’epico pontificato di Leone XIII. C’è quindi una linea diretta da Leone XIII attraverso il Vaticano II fino a Leone XIV – e al libro del nostro autore.
Nel mio libro sul Concilio, To Sanctify the World: The Vital Legacy of Vatican II suggerisco che l’intenzione di Giovanni XXIII nel convocare il ventunesimo concilio ecumenico è meglio compresa attraverso il suo discorso di apertura al Vaticano II l’11 ottobre 1962: il grande testo Gaudet Mater Ecclesia, che a sua volta fornisce una chiave interpretativa dell’intera impresa conciliare.
Cosa disse Giovanni XXIII nella Gaudet Mater Ecclesia? Disse che il primo compito del Concilio era quello di conservare intatto il “sacro deposito della dottrina cristiana”. La Chiesa deve farlo, tuttavia, non per trattenere un dono prezioso, ma per distribuirlo nell’evangelizzazione. Rinnovare la Chiesa per l’evangelizzazione era lo scopo di Giovanni XXIII nel convocare il Vaticano II. Il suo scopo non era la rivoluzione, né di “reinventare” il cattolicesimo per renderlo più accettabile allo Zeitgeist.
Nessun Concilio aveva l’autorità per fare queste cose.
Né il Vaticano II ha operato un “cambio di paradigma” nella Chiesa, un’immagine che si è sentita spesso negli ultimi anni: di solito, da parte di coloro che non capiscono cosa Thomas Kuhn intendesse per “cambio di paradigma” ne La natura delle rivoluzioni scientifiche, o di coloro che non capiscono la Chiesa cattolica, o di coloro che fraintendono entrambi. La Chiesa non fa “cambi di paradigma”. La Chiesa fa quello che san John Henry Newman chiamava “sviluppo della dottrina”: sviluppi della propria autocomprensione, ma sempre in un processo di crescita organica dall’interno della Tradizione, non per mezzo di una rottura con essa.
Giovanni XXIII sapeva anche che, come disse nella Gaudet Mater Ecclesia, il deposito della fede era una cosa e il modo in cui veniva espresso (ma sempre con lo stesso significato) era un’altra – e che la crisi della modernità che aveva portato a due guerre mondiali e alle altre catastrofi dei primi sei decenni del XX secolo richiedeva una nuova presentazione delle antiche e perenni verità della fede cattolica.
Quella crisi della modernità era una crisi antropologica: una crisi dell’idea stessa di persona umana. E nei sei decenni trascorsi dalla Gaudet Mater Ecclesia, quella crisi si è intensificata, fino al punto in cui i cromosomi sembrano non avere più importanza nel definire chi è un uomo e chi è una donna.
Il Vaticano II ha offerto una risposta a questa crisi antropologica in due dei suoi testi fondamentali. Nella sua prima frase, la Lumen Gentium proclama con coraggio e senza paura che Gesù Cristo è la “luce delle nazioni”. Al paragrafo 22, la Gaudium et Spes insegna che, in Cristo, incontriamo Dio Padre misericordioso e la verità su noi stessi.
Cristo ci rivela a noi stessi. Cristo ci rivela la verità sulla condizione umana: la nostra origine come creature di un Creatore amorevole (e non come sottoprodotti accidentali di forze biochimiche cosmiche); la nostra capacità di nobiltà e di formare un’autentica comunità umana; il nostro destino glorioso (la vita eterna con il Creatore, non l’oblio in un universo ridotto a una gelida entropia).
I giovani di oggi sono alla ricerca di un percorso che vada oltre l’incoerenza (e peggio) della cultura postmoderna e cercano di guarire le ferite inferte da tale incoerenza.
Letto attraverso il prisma della Gaudet Mater Ecclesia e l’autorevole interpretazione data al suo insegnamento da due uomini del Concilio, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Vaticano II può illuminare questo percorso con la sua radicale cristocentricità.
Siamo quindi tutti in debito con Luca Del Pozzo per aver spiegato così bene il Vaticano II ai suoi figli e, speriamo, a molti altri.
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